BRAINDROPS, TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO
di Giovanni Panetta
Recensione del sophomore dei Tropical Fuck Storm
Braindrops, Tropical Fuck Storm

Cover di Braindrops (2019).

Alla fine ci lasciamo questo 2019 alle spalle, tra eccellenti nuove proposte e piacevoli ritorni. Nikilzine, che crede in tutte le epoche, sa che sia protocollare stilare un lista delle migliori uscite del 2019, o degli anni ’10, oppure di questo millennio (quelli usciti “in effetto”); in ogni caso la pagina dell’uovo non farà tutto ciò, in quanto gli autori trovano più stimolante invitare il lettore all’ascolto con la mente piuttosto che con l’approccio fideistico delle succitate liste. Qualche album, con masticazione lenta e ben digerito.
E infatti a discapito dei lunghi elenchi, ecco qui uno degli album di questi ultimi anni che ha meglio rappresentato quest’ultimo periodo, e a mio modesto parere si accinge a gettare le basi per un futuro più rumorista, “afro”, e con idee seppur non proprio nuove ma rimaneggiate in maniera diversa.

Gli australiani Tropical Fuck Storm fanno questo nel bene e nel male, e senza gridare al capolavoro riescono in questo traguardo. Dopo il debutto A Laughing Death In Meatspace del 2018, psichedelico e più scarno ma comunque valido, i Tropical Fuck Storm quest’anno si cimentano in questo Braindrops, per la Flightless Records. Questa volta è tutto amplificato, con una formula di jazz, hip hop, ritmi afrobeat e chitarre filtrate da un software, rendendo il tutto più distorto; rispetto al debutto qui sembra che anche i vuoti vengano colmati attraverso un unione tra noise grezzo e musica afro più melodica in linea con i tempi, attraverso criteri occidentali. In un certo senso abbiamo a che fare con un sperimentalismo libero, anche se le dissonanze sono più pulite, meno istintive; un’impostazione più studiata e più patinata. Suono più smussato, sghembo, come una superficie dalle forme ingobbite, di un barocco colorato e allo stesso tempo sgraziato, boccionianamente “antigrazioso”.
Da parte di Gareth Liddiard (voce e chitarra), Fiona Kitschin (voce e basso), Erica Dunn (voce, chitarra e tastiera) e Laura Hammel (batteria e programmazione) vi è un suono che riprende certe intuizioni chitarristiche tipiche di Greg Ginn, il chitarrista coproprietario della SST Records; in particolare si può associare Braindrops alle produzioni più grezze del catalogo dell’etichetta californiana, come l’album omonimo della jam band October Faction (Ginn, Chuck Dukowski, Joe Baiza, Bill Stevenson, Tom Troccoli, Henry Rollins), per l’appunto una lunga jam di jazz elettronico che più malsano non si può, unita alla batteria di Stevenson che sconfina in ritmi (quasi) esotici, o almeno eterodossi. Altri paragoni con qualche altro gruppo del roster SST si possono fare con i Saccharine Trust dello stesso Baiza, dove anche qui la componente del jazz elettronico, diretto e grezzo, si fa volutamente sentire, quasi come nella band di Melbourne succitata ma filtrato nei tempi moderni; da notare il paragone tra i due gruppi anche per quanto riguarda i testi, oscuri e dissacranti (anche se quelli dei Saccharine Trust sono denotati da un maggiore nichilismo).

Infatti le parole di “Braindrops” non sono affatto morbide, come in The Planet Of Straw Man, ovvero una critica agli scalatori del mondo della musica, o in Happiest Guy Around, che mostra il rapporto tra mondo animale e umano, dove il primo è libero dai problemi in grande e in piccolo del secondo, ed anche la titletrack che esplica la meccanicità del quotidiano, in cui il malessere psicologico di ogni personaggio nel pezzo viene descritto istanza e come un flusso di coscienza. Particolarmente brillanti sono alcuni passaggi nel pezzo:

“and I remember a time when life was simple like a glass of water /…/ and now it’s crystal clear as any bathroom mirror” (e io ricordo un tempo in cui la vita era trasparente come un bicchiere d’acqua /…/ e adesso è cristallina come lo specchio di un bagno);

“beauty got a raw deal there it ain’t fair /…/ making sure the only arrests ’round here are cardiac” (la bellezza è un rozzo patto che non viene rispettato /…/ sicuramente da queste parti i soli arresti sono quelli cardiaci);

“selling cheap shit sham knock off hand bags brands / and he’s explaining we’re living in a simulation” (vendere finti brand di borse a mano che non valgono nulla / e [chi li vende] sta spiegando che stiamo vivendo in una simulazione).

Maria 62 e Maria 63, ciascuno alla fine di ogni lato della versione vinilica sono la prima la premessa della seconda, e quest’ultima è incentrata sul rapporto tra l’uomo e i suoi problemi; rapporto esplicato dalla figura di Maria (senza sconfinare ovviamente troppo nella religione) e che assurge ad una figura terrena di impotenza, ma il cui ruolo può essere svolto dall’uomo stesso (“Maria’s here with us now / and that’s ’cause she is you”).

“Braindrops” è un album fresco, che forse traccerà la strada verso un sound diverso, con testi che, seppur nella norma, fanno il loro lavoro. Nonostante il suono per certi versi sia a tratti convenzionale, presenta quelle contaminazioni di cui abbiamo parlato sopra, con le moderne possibilità tecnologiche, e la differenza tra un prima e un dopo sì che si sente.

Speriamo che questi australiani facciano strada e siano di ispirazione ad altri gruppi. Perché nella musica non si finisce mai di imparare, di progredire. Siamo quindi per il meglio per questo 2020.

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