Del duo ĀraṇyakAƔnoiantAḥkaraṇA (ĀAAA) si sa ben poco, tranne che hanno pubblicato per la Family Sounds un album omonimo il 27 Novembre di quest’anno, per la loro musica claustrofobica, ondivaga e oscuramente psichedelica, per i moniker dei componenti che sono rispettivamente le due cifre del sistema metrico binario (0 e 1), e per l’edizione del disco con custodia di metallo e lavorata a mano, foglio di pergamena con testi, linear notes e crediti, e vinile trasparente lathe cut. Nella speranza di scoprire qualche dettaglio in più, ho rivolto delle domande ai due artisti anonimi sulla loro poetica, sulle loro intenzioni e sul loro futuro. Emerge un quadro dove viene ricalcata l’immagine di un caos costante, l’immagine astratta di una dicotomia in disaccordo e sintonia allo stesso tempo, oscillando con le proprie idiosincrasie tra due polarità e descrivendo pattern caotici. Di seguito la conversazione che spiega meglio i concetti accennati.
Cominciamo dalla musica. Attraverso una sintesi non convenzionale di suoni digitali e analogici, e di distorsioni di sampler, sitar, riff di chitarra elettrica, campane, batteria, etc, viene esplicata una grande attitudine alla sperimentazione, oscura e lisergica allo stesso tempo, e in cui si percepisce della tensione mantenuta sospesa; musica che per motivi più specifici riflette i testi, come ne parleremo più in là. Sembra che si gioca con una commistione caotica di free, kraut e psych, ma lascio la parola a voi: come nascono e si sviluppano questi tre pezzi, e se il succitato caos sonoro nasce come flusso estemporaneo, o è plasmato secondo un’idea precostituita?
“Il Caos è proprio quel vuoto primordiale che si è cercato di circoscrivere il meno possibile. Ci ha ospitato al suo interno sia nell’ operazione testuale che in quella strumentale. La parte disciplinare è subentrata poi, nell’ organizzare il materiale sonoro, ma cercando sempre lo stupore nell’individuare quel momento che travalica l’ aspettativa, la confuta, la demolisce, generandone un superamento.
“Ecco perché non si dà genere musicale. Si è de-generati”.
I testi comunicano in maniera ieratica. In tutti e tre i pezzi viene prefigurata una potenziale decadenza attraverso immagini dalla natura esoterica. Sembra che nella prima (No Store For Cows) si fa maggiormente riferimento a dei e ad una loro entità prodotta oscura che si sottrae dalla loro presa; As Much Wealth You Can Afford, il secondo pezzo, rende lo stato delle cose sospeso; mentre l’ultimo, The Margin Spread, è una chiusura in tutto e per tutto apocalittica, dal racconto lento e claustrofobico. Il vostro nome, come il titolo dell’album, fa riferimento agli Aranyaka, ovvero i testi dell’indù che istruivano ai cosiddetti riti della foresta; un’ennesima citazione che incentiva il vostro esoterismo. Mentre vostri moniker (0 e 1) indicano il substrato della nostra modernità nel segno dell’era digitale, oltre che rappresentare una dicotomia intrinseca (0 e 1 sono i valori di verità nell’algebra booleana); I due pezzi principali, opposti e insieme dall’andamento parabolico, se venissero invertiti potrebbero costituire un’epifania più ad ampio respiro, ma volevate essere coerenti con quello che sentivate di creare, ed è stato meglio così. Sta di fatto una narrazione a tutto tondo che unisce antico e moderno, e torna ancora il concetto della dicotomia indivisibile, ricorrente nel disco. Vi chiedo cosa in realtà volevate narrare.
“L’epifania cova al suo interno una speranza. È una manifestazione, un’apparizione. Un evento. E l’evento, anche se… anzi… proprio perché non è prevedibile o evocabile, genera un’attesa, una aspettativa di ritorno. Non si voleva questo. Da subito, soprattutto nella parte testuale, siamo andati a caccia di conflitti, senza risoluzione di sorta. Non si dà giudizio ma calcomanìa di un loop.
“Anche l’apocalisse, la rivelazione, cede a questa prospettiva. Certamente v’è un tono definitivo, terminale… in tutto l’album, ma se vuoi, la rivelazione è l’interminabilità delle cose, il Todestrieb che torna che torna che torna…
“0 e 1 incarnano un’ambiguità irrisolvibile: echeggiano pregni ed antichi significati, eliminano l’ ego come forma di autorità e contemporaneamente (poiché gli è proprio del contemporaneo) uccidono l’identità stessa nella dimensione del pensiero attuale… binario”.
Si evince che il vostro suono è periodico e possente, come se quel movimento ondivago volesse esprimere un’ossessione dagli effetti non indifferenti. Mi pare di capire che voi stessi vi riferite a quella dell’uomo moderno che si culla nell’asettica riproduzione del passato, che macina tutto ciò che ha avuto un tempo un significato peculiare. In un certo senso il porre il problema concettualmente non è che la risposta in musica. Volevate per caso esprimere il fatto che a volte la musica sospende e risolve lo stesso problema su piani diversi? Lo trovo molto interessante, e mi ricorda molto il grafico M. C. Escher e le strutture logiche con cui giocava.
“La musica si espande in vastità ed altezze che altri mezzi non hanno. In questo senso certamente sospende, si eleva e sfiora l’infinito, che era anche l’ossessione di Escher. Il suono non è soggetto alla gravità, che è invece presente nella confezione che ne contiene la deflagrazione potenziale. E questa “macinatura” di cui parli è precisamente l’operazione che abbiamo innescato. Doveva essere presentata e non rappresentata; un atto nel suo farsi”.
Copertina metallica lavorata a mano con cera d’api e vinile trasparente lathe cut. Inoltre copie a tiratura limitatissima (in tutto 21). Un formato e un modus operandi che colpisce per il suo voler essere unico, ma soprattutto volevate indirizzare a pochi un prodotto dai tratti esoterici come abbiamo prima evidenziato. Un prodotto corrosivo proprio come l’acido muriatico che scalfisce la superficie metallica. Voi cosa ne pensate?
“Un manufatto è necessariamente non un prodotto di consumo. Chi vuole l’album vuole un oggetto che trasmetta una forza da (con)tenere in mano. Richiede una relazione, un’intimità, un patto. Un contagio”.
La vostra identità è quasi anonima, se non fosse per quei valori booleani con cui vi firmate in questo caso. In ogni modo volete parlarci dei vostri background musicali e se sono affini con questo progetto? Quale percorso avete seguito per arrivare ad ĀAAA?
“Diciamo che lo sfondo a cui attingere è vasto e certamente viene restituito oltre le intenzioni, in piena Nolontà. La musica è solo un frammento di un ambito più complesso che in questo preciso caso, ha avuto una forma sonora. ĀAAA è un distillato ottenuto da due visioni del mondo, quella di 0 e 1 che non hanno cercato una mediazione, semmai si son fatti medium di qualcosa che ne sfregiasse il controllo”.
Ultima domanda di quest’intervista che vuole dettare le linee generali del progetto. Quali saranno i vostri sviluppi? Quali insolite novità dovremo attenderci dalla vostra fervida musica?
“Stiamo ancora recuperando le energie dissipate durante la realizzazione dell’album, energie che in parte ci vengono restituite grazie all’interesse che ha suscitato, come in questo specifico caso. Queste risonanze rimettono in circolo idee e spunti interessanti. Il prossimo passo sarà forse la creazione di un singolo, un pezzo solo ma… graffiante. Si vedrà”!