“Siamo una band chiamata Anuseye” è il mantra ripetuto tra un brano e l’altro durante i loro live, quindi stavolta non nomineremo i That’s All Folks! (oops…we did it again).
A distanza di un anno dall’uscita dell’ultimo album 3:33 333 facciamo quattro chiacchiere con Claudio Colaianni artefice della band, musicista attivo fin dai primi anni ‘90 e riconosciuto alfiere della scena underground indipendente italiana, quantomeno nel solco dell’heavy/psych.
3:33 333 uscito per l’etichetta Vincebus Eruptum, è il terzo lavoro del quartetto barese, realizzato da Claudio con l’ausilio di nuovi compagni d’avventura rispetto ai due dischi precedenti. Analizziamo con lui le singole tracce dell’album partendo da alcune considerazioni generali.
Nino: Claudio, ciò che traspare dall’ascolto del lavoro nel suo insieme è l’omogeneità dei suoni e in parte anche del suo aspetto compositivo.
L’ arrangiamento dei brani sembra frutto di una ricerca che ha richiesto tempo e sedimentazione. È cosi?
Claudio: Non proprio: è così, forse, per la metà dei brani dell’album, nel senso che avevano una struttura ben definita e collaudata, che non richiedevano ulteriori fronzoli; ma l’altra metà è frutto di pura improvvisazione e sperimentazione. L’album, così come tutti i lavori di Anuseye, è stato composto e registrato in tre tempi, non particolarmente lunghi, con le giuste pause tra essi che ti permettono, poi, di affinare gli arrangiamenti.
Nino: Tutti i brani colpiscono anche per compattezza e precisione nell’esecuzione, a riguardo che metodo di registrazione avete adottato in studio?
Claudio: Live recording, come sempre. La compattezza che avverti, e sono d’accordo, la si deve a tutti i componenti di Anuseye, le cui idee e tecniche esecutive erano assolutamente chiare sin dal primo giorno di riprese e a prescindere dall’esperienza in studio di registrazione. Tutti avevamo idea di come eseguire ogni singola traccia, del tempo da impostare al click, del suono di base da settare sugli ampli. Sembrano aspetti scontati, non lo sono affatto.
Nino: Sycamore Red e Meet The Mudman sono caratterizzati dal tipico incedere stoner tenuto però più indietro, lasciando più spazio e volume alle melodie delle chitarre aperte. Parlaci un po’ delle sonorità in fase di produzione e delle scelte di mixaggio.
Claudio: Sono tra i brani composti e registrati con premeditazione insieme a The Blend, strutture di classic blues rock di derivazione ’70s sulle quali, però, volevamo arrangiamenti più aperti, melodici, onirici. Bisogna dare merito a Stefano per aver ideato delle linee di lead guitar davvero notevoli e singolari. Non aveva mai usato l’e-bow, adesso non me lo restituisce più!
Nino: In The Blend traspaiono echi dei primi Monster Magnet e nella prima parte della title track 3:33 333 evidenti influenze di Soundgarden. Svelaci qualche dettaglio sulla genesi dei due brani e dacci qualche gossip sulle dinamiche in sala prove fra te e tuoi compagni di band.
Claudio: hummmm…a mio avviso sono brani con un romanticismo ed una filologia più europea che americana, più British per intenderci. Ma va bene tutto. The Blend ti ho già detto che è un pezzo nato e cresciuto in sala prove, era in scaletta già da diverso tempo, prima ancora che Damiano, Giovanni e Stefano diventassero “demoni giapponesi”; 3:33 333 è frutto di idee di Giovanni e Stefano e ti svelo un aneddoto: io, personalmente, l’ho provato pochissimo tant’è che non avevo neanche un testo sino al giorno delle registrazioni, ma dai primi ascolti si percepiva la soddisfazione che regalava quella composizione; era, per noi, un brano davvero epico, quindi decisi che doveva avere anche delle liriche epiche. Per cui presi i death sonnet di Shakespeare e li cantai su.
Nino: E veniamo ad Armored e Vacuum Time Unit, i brani più a fuoco di tutto il disco, in cui si intersecano magistralmente fraseggi di chitarre elettriche e acustiche (a’ la Miracle Workers di Primary Domain) accanto ad una pregevole linea vocale (Armored). Dicci dei brani e se proseguirai in futuro nella nuova direzione tracciata da queste due gemme.
Claudio: Parto dalla domanda finale: certo che proseguiremo su questa direzione perché è quella più psychic e stimolante. Vorrei però insistere su un aspetto: vedi, dal punto di vista compositivo potrei dire che Armored è un pezzo tutto mio e Vacuum tutto di Stefano, ma non è così. Sono nati da idee singole ma, come dire, fare parte di una band è una dimensione tutta particolare. Se non avessi avuto compagni con la stessa sensibilità musicale, etica, artistica quelle stesse idee non avrebbero raggiunto quel risultato finale, piaccia o meno, riuscito o non riuscito poco importa, ma è il prodotto di Anuseye, la risultanza di un’alchimia che solo quei 4 elementi possono produrre, è questa l’unicità che mi interessa. Poi, altro aneddoto: l’acustica aveva 4 corde (ahahahah).
Nino: Dominant Eye si discosta dalle altre tracce per suo approccio funk poliziottesco. Parlacene e svelaci di chi è la voce che la canta.
Claudio: Dominant Eye la canta Stefano, è un brano scritto da lui sul quale ci sono registrate le percussioni di Agostino Aprile, grande amico di Giovanni ed ora nostro. È stato molto divertente suonarlo ma non eravamo granché soddisfatti delle takes di base. Le percussioni, l’hammond finale suonato da Stefano ed il finale incisivo ci hanno regalato un brano sorprendente.
Nino: Salutiamo Claudio con un quesito, il disco è una prova di maturità al quale, immaginiamo sarà impegnativo dare un seguito dello stesso spessore. Stai già pensando al tuo futuro artistico?
Claudio: Domandona, soprattutto in questo periodo: che futuro può mai avere l’arte? E soprattutto cos’è l’arte? Mi considero un artigiano della musica più che un “artista”, non posseggo la giusta formazione accademica per esserlo. Di sicuro c’è fervida creatività da parte di tutti, Damiano ha recentemente lasciato la band per cui abbiamo bisogno di amalgamare le idee con il nuovo batterista, Cosimo Armenio; ma sarà come sempre, andremo in studio con 3/4 pezzi e miriadi di idee e ne sforneremo 9.