Addict Ameba: punk convertiti all’afrobeat e ottoni di fanfare
di Giovanni Panetta
Intervista agli Addict Ameba sulle loro origini e Caosmosi, album del 2024 per La Tempesta e Black Sweat Records, tra melodie afro e ritmi con dettagli complessi.
Caosmosi.

Caosmosi (2024).

Addict Ameba è un collettivo attivo nel quartiere storico di Casoretto di Milano, che attinge da sonorità afrobeat e punk, queste ultime caratterizzate dalle derive più esotiche storicamente associate. Giocando spesso con una melodia policromata, il suono appare incentrato su un ritmo incisivo che si intensifica nei dettagli, in base ad una formula estetica non occidentalizzata, con cui i membri voglio ribadire il loro sentimento di armonia cosmopolita in maniera quanto più fervida. Il gruppo è capitanato da Lorenz (Lorenzo Farolfi) produttore e componente del gruppo dalle sonorità psichedeliche ed influenzate dal free jazz Al Doum And The Faryds, il quale negli Addict Ameba ha il ruolo strumentale di chitarrista, nonché di mente creativa principale (nell’insieme degli apporti decisivi di tutti gli altri componenti).

Nel loro ultimo album Caosmosi (La Tempesta, Black Sweat Records, uscito ad Aprile 2024) maturano le idee, già con una specifica meditata organicità, provenienti dal loro esordio Panamor (Black Sweat Records, 2021). In Caosmosi partecipano due importanti ospiti: Joshua Idehen, artista anglo-nigeriano e autore delle liriche dei progetti con figura centrale il fiatista Shabaka Hutchings e di impronta free jazz (anche se dalle istanze musicalmente più familiari nel contesto contemporaneo) Sons Of Kemet e The Comet is Coming; in più partecipa anche Rabii Brahim, attore e musicista tunisino componente di Milano Mediterranea e il collettivo artistico Corps Citoyen (il primo un progetto curatoriale in cui il secondo partecipa) nonché co-organizzatore degli eventi targati Armonika, legati più ad un quanto più svincolato intrattenimento. Caosmosi trae ispirazione, non solo per il titolo la soprattutto nell’attitudine, dal testo saggistico di Félix Guattari “Caosmosi” (con titolo originale in francese “Chaosmose“, del 1992), un’ispirazione per il gruppo nel catalizzare le energie caotiche dell’attualità nella loro creatività espressionistica e libertaria.

In Caosmosi ha suonato la seguente formazione: Lorenz (chitarra), Davide Boselli (basso), Alexandre Cayuela Castilla (percussioni), Paolo Cerruto (voce, percussioni), Lorenzo Faraò (sassofono), Julie Ant (batteria), Edoardo Leveratto (tromba), Beatrice Montinaro (percussioni), Niccolò Pozzi (trombone) e Thomas Umbaca (keyboards).

Approfondiremo tali argomenti nella seguente intervista al collettivo riguardo i temi citati, con un maggiore focus sul secondo disco Caosmosi.

Parlateci di come nasce il progetto Addict Ameba e il suo jazz funk di impronta mediterranea. Le influenze possono essere un certo suono cinematico, in particolare il Piero Umiliani funk, il Lucio Battisti prog, l’afrobeat di Fela Kuti, la Napoli sotterranea e più recentemente i Nu Genea/Nu Guinea. Lo sperimentalismo non manca, delineandosi in figure caleidoscopiche e positivamente catartiche, tra astrazione e carnalità che generano un empatico ritualismo. Parlateci di come nasce il progetto e delle intenzioni dietro ad esso.

“Il progetto nasce nel 2017 da un primissimo nucleo di amici percussionisti che si ritrovano in sala prove, insieme a un bassista e due fiati. Settimana dopo settimana, con un travolgente effetto valanga, si aggiungono membri provenienti dalle più disparate esperienze; musicisti salvadoregni, punk convertiti all’afrobeat, ottoni di fanfare… L’intenzione è quella di studiare le musiche dal mondo e mischiarle bendati, sperando che l’esperimento crei nuovi costrutti inediti e sovversivi. L’intenzione più profonda, in realtà, è semplicemente quella di divertirsi e stare insieme e sorreggersi a vicenda, condividendo saperi e creando buona musica.”

Il primo album Panamor (Black Sweat Records) propende leggermente verso una più latente sospensione armonica e melodica, nell’ottica di un suono palesemente internazionale, colto e popolare allo stesso tempo. Ad esempio in Souvlaki vi è un attingere a piene mani dai Goat, influenzate da sonorità più partenopee. Parlateci di come è nato questo suono che sento leggermente più abrasivo rispetto la poetica cronologicamente successiva.

“Quel suono è in buona parte frutto della sperimentazione di cui sopra; la matrice rock e ruvida viene dal retroterra dei due principali compositori del disco “Panamor”, Il Lorenz e Davide Boselli, entrambi cresciuti musicalmente con la pasta musicale, grezza e affilata, dei novanta/duemila. Il Lorenz è anche la persona che ci registra nel suo magico Guscio studio, dove la strumentazione analogica regala suoni essenzialmente novecenteschi. In quel disco in particolare siamo fieramente inattuali, quest’epoca non ci somiglia!”

Caosmosi (Black Sweat Records, La Tempesta) è un album più ballabile, nonché dalle linee melodiche più eleganti attraverso un esotismo cosmopolita, diffondendo un’idea di inclusività trasmigrata in suono. Parlateci di come si è svolto l’associato processo creativo generalmente a livello di pre-produzione e produzione.

“Grazie per i complimenti. Come dicevamo sopra a tenere insieme il collettivo c’è un luogo di ritrovo fisico, il Guscio, dove quel pirata del Lorenz cucina le sue pozioni. Raggiunto dai nostri inviati, ha dichiarato: “ho composto gran parte delle musiche di questo disco tra mezzanotte e le cinque del mattino. Trovo più facile inventare una strofa durante il giorno, ma è solo nella notte che passano a trovarmi i ritornelli. E sotto i colori solari impressi dai miei indomiti compagni di band serpeggia anche il buio del rock, che da sempre mi accompagna. Per capire questo disco basta proiettarsi in quello stato di malinconica/euforia che si vivrebbe prendendo parte all’ultima grande festa prima della scomparsa del genere umano. Caosmosi!””

Look at Us parla dell’azione dominatrice dell’essere umano, un’esortazione alla pace, all’empatia. Il cantato dell’artista di origini nigeriane Joshua Idehen riflette le giuste emozioni, un’interpretazione entusiasta, che colpisce per la teatralità e la insita gestualità. Il suono orchestrale, funk-soul, si combina perfettamente con gli elementi citati, infondendo armonia e vitalità. Parlateci di cosa volete trasmettere con questo pezzo e come avviene la collaborazione con Joshua.

“Il primo contatto con lui è stato nel 2019, quando Paolo Cerruto lo invitò al festival Slam X al Cox 18, dopo averlo scoperto grazie ai Sons of Kemet. Accettò di buon grado l’invito, non aveva mai letto le sue poesie in Italia. Da quella volta rimanemmo in contatto, finché Paolo con Chullu gli ha organizzato il primo tour del progetto solista. Sapendo del tour imminente gli abbiamo mandato una strumentale di Addict Ameba chiedendogli se gli andasse di fare un pezzo insieme. Il brano gli è piaciuto, così appena atterrato, prima di andare in albergo, l’abbiamo portato al Guscio studio dove in due take ha registrato la voce; eravamo stupefatti, il pezzo girava alla grande. Aveva un taccuino su cui aveva scritto il testo, che cancellava e riscriveva per farlo stare nei tempi del nostro brano. Un orecchio sopraffino, il suo, unito a una grande professionalità. Per la presentazione del disco l’abbiamo invitato a suonare il “Look at Us” con noi, è stato stupendo, abbiamo anche improvvisato una base sotto alla sua celebre poesia “Your Queen is a Reptile”. Con questo pezzo vogliamo semplicemente infondere speranza in un momento in cui siamo travolti da guerre interiori e “mondiali”. Noi, da buoni antimilitaristi pacifisti, siamo pronti alla diserzione.”

 Caosmosi, la title-track, è un pezzo dalle sfumature fusion o più progressive, nel pieno contesto di un funk-afrobeat estivo. Il brano risente di un’attitudine italo-meridionale o più popolare verso il finale, attraverso un cantato simil-rap. Come avviene l’eterogeneità del pezzo citato?

“Come sempre nel frullatore finisce di tutto. In quel pezzo come dici bene c’è di tutto, dall’afrobeat al desert blues, con sfumature funk e jazz. Il cantato finale è di Paolo, che negli anni è passato dal fare freestyle durante i concerti allo scrivere dei piccoli proclama o delle brevi strofe, che sembrano quasi un “solo”. L’eterogeneità arriva sempre dall’idea di non annoiare e provare a creare una narrazione in ogni composizione, che possa trasportare chi ascolta da un paesaggio sonoro all’altro.”

Addict Ameba.

Addict Ameba, foto di Guido Borso.

Copelandia è un pezzo più geometrico, con strutture ritmiche peculiari tra stop and go e beat afro. Il pezzo successivamente si sviluppa in una componente ritmica più motorik attraverso un suono anche melodicamente più intenso, infondendo un generale un leitmotiv su un’idea di suono dai contorni più netti. Parlaci di questa impostazione di sound.

“Come quando si assume il fungo hawaiano detto “copelandia”, si passa da una fase iniziale di incertezza, caratterizzata nel brano dal tempo dispari in 7/8, prima di lasciarsi conquistare dalla psilocibina che di colpo schiude il sipario, per poi proiettare l’esperienza nel viaggio galoppante che ripristina l’ordine cosmico sottoforma di 4/4…  La parte finale di rituali tambureschi lascia in sospeso la scelta di assumere altro copelandia e l’epilogo in fade out che ripropone i ritornelli lascia intuire l’esito di questa scelta.”

Interlude è un breve pezzo più astratto ed improvvisato, vero outlier dell’album, tra free jazz spensierato e dettagli di spiritual jazz. Parlateci di come è nato questo insolito pezzo all’interno del lavoro.

“Il brano è stato improvvisato estemporaneamente da Thomas Umbaca e Lorenzo Faraò, giusto un paio di take ma poi come spesso accade è stata buona la prima. E’ un’impro che proponiamo spesso anche durante i live come introduzione di Ya Bled e tenevamo particolarmente a immortalarla su disco. É un divertissement che potrebbe sembrare fine a se stesso, ma in realtà contiene anch’esso un pezzo di cuore di Addict Ameba: è il contatto con un jazz cosmico di cui Sun Ra è stato uno dei padri fondatori e a cui rendiamo un tributo. Nonostante le nostre radici affondino saldamente nel groove, la nostra mente viaggia spesso in direzione di Saturno. Space is the place!”

Il gioco musicale di Interlude anticipa la successiva Ya Bled, caratterizzata da una grandeur più solare e africanista, in collaborazione con l’attore e cantante tunisino Rabii Brahim che offre un timbro più afroasiatico nel cantato, in associazione ad un cantato rappato, un armonico contrasto. Parlateci di come è nato e sviluppato questo pezzo, e come è avvenuta la collaborazione citata.

“L’amicizia con Rabii è nata in piena pandemia. Era maggio o giugno 2020 quando Damon Arabsolgar, amico comune, ci invitò a una jam autorizzata per Milano Mediterranea, un grandioso progetto artistico nella periferia di Milano che, per dirne una, di recente ha tirato su la prima “trap opera” della storia, un musical con i ragazzi e le ragazze del quartiere. Dietro al progetto c’è una coppia artistica e di vita incredibile, ovvero Anna Serlenga e Rabii Brahim, con cui è nata da subito un’intesa musicale incredibile, tra voce, krakeb e percussioni varie. A partire da quella volta è capitato che salisse sul palco con noi a improvvisare alcuni pezzi, fino a quando non abbiamo composto insieme questo pezzo in saletta, dove oltre alla voce di Rabii, che canta la nostalgia del migrante, Paolo declina il verbo essere al presente, parlando, tra le altre cose, di Greta Thunberg e de Il Mago del Gelato, band di amici vicini per sonorità e geografia.”

 

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