Un viaggio in America Latina con gli Arabia Saudade
di Giovanni Panetta
Intervista a Superfreak e gli altri Arabia Saudade (Dave, Cava, Cazzurillo) riguardo l'album Estudando A América Do Sul, le ispirazioni e il concept dell'arabo in movimento.
Estudando A Am​é​rica Do Sul

Estudando A Am​é​rica Do Sul (2023). Artwork di Elias Taño.

Gli Arabia Saudade sono un trio formato da Superfreak (basso e voce, già in Bokassà, Threecology), Cava (batteria, in Afraid!), Dave (chitarra), a cui più recentemente si è aggregata Cazzurillo (voce), autrice di produzioni di genere tra il noise e il trip hop più sghembo. Gli Arabia Saudade portano avanti il loro concept tra suoni tropicalisti, afro e no wave, in cui si narra di un arabo affetto da saudade che intraprende un viaggio verso l’America Latina. Nell’ultimo e terzo disco degli Arabia Saudade intitolato Estudando A Am​é​rica Do Sul (prodotto per Lepers Produtcion e uscito a Febbraio 2023), all’interno della narrazione citata l’arabo giunge nell’America Meridionale, e pezzo per pezzo visita uno specifico stato del suddetto continente. Il disco vede la collaborazione di Matteo Pennesi alle tastiere, oltre James Plotkin (già noto per i suoi contributi a tracce di Sunn O))) e KK NULL) che si è occupato del mastering e il grafico spagnolo Elias Taño che ha disegnato l’artwork (quest’ultimo conosciuto al festival di fumetto e musica di Bari CaCo Fest; l’artista tra l’altro ha dipinto la facciata della Ex-Caserma Liberata, location del festival citato).

Ho intervistato gli Arabia riguardo il loro ultimo album – per l’appunto Estudando A Am​é​rica Do Sul. Di segui l’intervista a Superfreak e gli altri.

Gli Arabia Saudade, all’interno dei loro pezzi, parlano di un arabo che compie un viaggio in Sud America, affetto per l’appunto dalla cosiddetta saudade. Parlateci di come nasce il concept, e come avviene l’unione dei contesti arabo e latino-americano.

Superfreak: “Un mio collega Niccolò di Gregorio (tra l’altro anche lui musicista con gruppi molto più famosi di noi) fece una maglietta con un arabo che piangeva e la scritta “Arabia Saudade”. In quei giorni con Dave e Cava avevamo deciso di fare un gruppo di rock persiano ispirati da una compilation [la compilation Pomegranates – Persian Pop, Funk, Folk And Psych Of The 60s And 70s per la Finders Keepers Records, del 2009, ndr] e chiesi a Niccolò di usare il nome, in cambio poi gli abbiamo venduto qualche maglietta ai concerti (poche comunque).

“Intanto il nome era perfetto e dava un senso a quello che stavamo suonando, da lì lo scenario si fece ben chiaro: L’arabo piangente era il protagonista della nostra storia, lo abbiamo mandato in Brasile per fargli sentire un po’ di nostalgia di casa e lo abbiamo costretto a cantare in un portoghese rudimentale appena imparato.

“La cosa coincideva con la mia fissa per molta musica brasiliana, il nostro amore per gli Isterismo e la voglia di tradurre cose a caso su Google Translate.”

Americ, il primo album, ha sonorità più spigolose e spontanee, mentre in Le Petite Senigallia (parte di uno split con i fiorentini Caveiras, anche loro linguisticamente portoghesi) viene acquisita una forma multi-diversificata, in cui converge una certa componente acustica. Parlateci di come si sviluppa il vostro percorso artistico prima di Estudando A América Do Sul e come avvengono le associate caratteristiche.

Arabia Saudade: “Forse siamo diventati più bravi a suonare. A furia di andare a provare il mercoledì e mangiare pizze ci siamo arrotondati.”

 In tutti e tre i dischi vi è un tratto no wave latentemente tropicalista, in cui nella terza uscita emerge con maggiore elasticità, e che rende nel complesso il vostro sound originale; infatti Estudando A América Do Sul ha una forma più libera e dinamica, con una creatività più tropicalista. Nel concept, il protagonista, l’arabo affetto da saudade, arriva in America Latina, più specificatamente in Brasile, e percorre tutte le nazioni del continente.  Parlateci di questa evoluzione sia di suoni che di storia del personaggio che avete creato nelle vostre narrazioni. Inoltre diteci quanto lo sviluppo del concept nella vostra discografia è avvenuto spontaneamente o meno.

Superfreak: “Nel primo disco l’Arabo è triste e gli manca casa, il vento, il deserto. Nel secondo disco inizia ad ambientarsi e ad amare il Brasile. In quest’ultimo gira tutto il resto del Sud America, se ne innamora ma poi è costretto a partire per sempre (gli addii e la fine della felicità in realtà è il concept costante nostro ma anche di buona parte della musica brasiliana).

“Il concept (che è una mega citazione di Tom Zè e del disco più bello del mondo) è poi un’espediente per tirare fuori i nostri sentimenti più melensi e nascosti senza il rischio di esporci personalmente quindi c’è un grosso artificio che ci permette di essere spontanei.

“A livello musicale Cava fa le batterie di Bombino o di Omar Souyleman e noi proviamo a camuffarle con arzigogolati barocchismi.”

Arabia Saudade

Arabia Saudade, da sinistra a destra: Superfreak, Cazzurillo, Cava e Dave. Foto di Alessia Colaianni.

Parlateci di come avviene il coinvolgimento di Cazzurillo in Estudando A América Do Sul, che già ha collaborato in Le Petite Senigallia. Sembra che il suo contributo dia più compattezza ai pezzi, con un trio originario già nel pieno della loro energia. Come avviene quest’alchimia?

Arabia Saudade: “Conosciamo Cazzurillo da tempo immemore, di lei ci piacciono tante cose e allo stesso tempo siamo intimoriti dalla sua meticolosità. A suo tempo provammo a coinvolgerla in un brano (Dubai) che venne splendidamente, facemmo un live insieme e anche quello venne molto bene.  Da lì inizia la pandemia e la nostra folle idea di andare a visitare tutte le nazioni del Sud America. Stefano Spataro degli Hysm? ci dice che siamo pazzi, Cazzurillo ci trova i biglietti e tadà eccoci insieme in questo viaggio.

Parlando dei pezzi, Guiana Francesa contiene un gioco di parti, quasi armonico e in parte ritmico, molto peculiare ed originale. Le voci di chitarra e basso, articolate, si sanno incastrare perfettamente nel loro barocchismo complesso. Parlateci di come nasce questo aspetto quasi-armonico.

Arabia Saudade: “In genere iniziamo da un giro (il secondo riff in questo caso) e ci attacchiamo pezzi qui e lì. La Guiana Francese è  parte dell’Unione Europea, della Francia ma anche del Sud America e questo ha complicato il tutto.”

Suriname presenta una creatività melodica incalzante, ma anche fugale, seguita da una incendiaria e frammentaria Uruguai, più propriamente no wave. Il legame tra i due pezzi sembra essere speculare, in entrambi i casi coinvolgente, il cui ponte rappresenta uno dei clou dell’album. Diteci se il processo creativo di entrambi i pezzi è stato congiunto o in qualche modo associato.

Arabia Saudade: “No, i pezzi sono stati scritti in momenti molto diversi: Suriname era una canzone scritta per convincere Luca Benni a farci suonare all’Italian party per questo ci abbiamo messo il finale emo che poteva piacergli. Uruguai è stato l’ultimo brano del disco, ci mancava un pezzo sull’Uruguai e non ci usciva in alcun modo. Poi in due secondi abbiamo unito la storia dell’emigrazione italiana in Uruguai ad un brano à la Idles, un gruppo che piace agli over 40 e che dalle nostre ricerche di marketing potevano essere quelli maggiormente disposti a spendere molti soldi nella nostra musica.”

Arabia Saudade. Foto di Alessia Colaianni

Arabia Saudade. Foto di Alessia Colaianni.

Grande Sucesso compare in forma diversa nelle vostre tre uscite e ogni volta in armonia con il contesto. In questa versione domina il contributo di Matteo Pennesi (ArteTetra, Babau) alla tastiera e risulta essere più disteso e per l’appunto conclusivo. Parlateci del ruolo di Grande Sucesso come leitmotiv sonoro del concept del vostro progetto.

Arabia Saudade: “Quando abbiamo scritto quel brano ormai 8 anni fa (?) ci siamo resi conto che era il nostro grande successo. Inserirla sempre nelle nostre scalette sui dichi e nei live è qualcosa che dobbiamo al nostro pubblico e da cui non possiamo esimerci.

“Uno dei testi più belli che abbiamo scritto: parla un po’ della giovinezza, della bellezza del tempo perso, del deserto.  In quest’ultima versione viene cantata dal nostro Arabo in un piccolo bar di Manaus mentre aspetta che passi il classico temporale equatoriale. Il tempo è caldo e appiccicoso ed è impossibile far altro che attendere che inizi a spiovere, così si avvicina ad un pianoforte e inizia a intonare il nostro classico. Subito accanto a lui si affianca una voce: più sicura, precisa che espande il brando arricchendolo di colori e sfumature (è la voce di Cazzurillo). Il brano va avanti, il pezzo ha aperto un canale che dal cuore va alla bocca ed è così che in un fiume in piena parte il recitato finale, mostriamo le carte del gioco: l’arabo non è più un personaggio fittizio viviamo un embrayage ed ecco che siamo noi Arabia Saudade a parlare, a dire addio agli anni insieme, ai luoghi che ci hanno accompagnati, all’amicizia che ci ha legati così tanto. Siamo un po’ sconvolti non sappiamo cosa faremo nel prossimo futuro, ma ecco che fuori ha smesso di piovere e il piccolo biplano guidato da Mister No è lì pronto a portarci via dal Brasile che abbiamo sognato e amato in questi anni.”

Secondo le vostre intenzioni riportate sui social, vi è un’intenzione a sospendere il progetto degli Arabia Saudade definitivamente. Commentate più dettagliatamente quest’intenzione per noi. Inoltre quali sono i progetti futuri e imminenti di tutti i componenti della band?

Arabia Saudade: “Le cose belle finiscono ed è così che sono finiti gli Arabia Saudade. Li ricordiamo come una cosa bella che ormai nessuno potrà più rovinare. Nei prossimi mesi parleremo tanto fra di noi, proveremo nuovi strumenti, nuovi modi di stare insieme, mangeremo del cibo e ci cercheremo. Alla fine di questo percorso ascetico forse rinasceremo con una nuova identità oppure no. Ad ogni modo continuano i percorsi solisti (quantomeno XY e Superfreak), continua la newsletter di Dave sull’hip hop (Word War), continua la Lepers Produtcions, continua il mondo a girare.”

Superfreak insieme all’invio delle risposte nella parte di sopra di questo articolo, mi offre una presentazione più dettagliata del progetto più in privato, che la seguente:

Superfreak: “Gli Arabia Saudade si reggono sul filo sottilissimo del cattivo gusto. Se proprio vogliamo dargli un’origine non è tanto lontano dal Manifesto Antropofago di Oswald de Andrade che vedeva nella cannibalizzazione delle altre culture un tratto unico della poetica Brasiliana. Questo avveniva nel 1928, poi i tropicalisti se ne sono riappropriati dando via a tutto il movimento. dal movimento tropicalista ci riprendiamo quel diritto giocoso a mischiare le carte e attingere da roba di altre culture, ma in modo evidentemente falso, in modo da non fingere che siano le nostre culture o che ce ne appropriamo. Su questo siamo più vicini a Salgari, che parlava della Malesia senza averla mai vista. Questo è l’approccio generale che guida la narrazione, l’ideazione e ci porta da una parte all’altra.

“Musicalmente la composizione come hai notato è fatta sempre di di micro-momenti, ci sono cambi rapidi e non lente transizioni tra una parte e l’altra (scuola Black Sabbath? Forse), e un piglio generale che viene dagli ascolti giovanili (Minutemen? Probabilmente). A questa struttura ci aggiungiamo gli strati delle cose che ci piacciono: le batterie minimal che come dicevo e non scherzavo partono da Bombino e Omar Souyleman, e basso e chitarra che rubacchiano dai gruppi citati; Minutemen, Tropical Fuck Storm, Pussy Galore, Isterismo, Arrigo Barnabé, Ultra Zook per la parte più punk; Gal Costa, Caetano Veloso, Tom Zé, Kiko Dinucci per la parte più Brasile; Sun City Girl, Bargou 08, [la compilation Pomegranates, ndr], per la parte più araba. il concept di ogni singolo brano e il cantato hanno il ruolo di tenere insieme tutti i pezzettini in qualcosa di più organico nel suo insieme, e che ne delimiti i confini di [ogni] pezzo e non solo nel susseguirsi di micro-parti.”

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