I Maverick Persona sono un duo elettronico-cantautorale formato da Amerigo Verardi, storica figura che ha militato durante gli anni ’80 negli Allison Run e che porta avanti una brillante carriera solista all’insegna del pop psichedelico, e da Deje, nome d’arte di Matteo D’Astore, producer elettronico già attivo nei Rākṣasa, il cui ultimo lavoro solista, ovvero Sleeping World (2023) è un viaggio magmatico e lisergico tra jazz, dub e suoni esotici, in cui la scrittura appare più che matura già in questo suo periodo da esordiente.
I Maverick Persona hanno pubblicato due album nel 2024, ovvero What Tomorrow? e In The Name Of, entrambi per NOS Records e MarraCult, caratterizzate da narrazioni distopiche e disincantate (con un fondo di speranza), e accompagnate da trame trip hop e liricamente psichedeliche, in piena fede agli stili più caratteristici dei due autori, il cui risultato, per peculiarità sonore e verbali, risulta maggiore della somma delle sue parti.
Riportiamo di seguito l’intervista ad Amerigo e Matteo riguardo il percorso relativo alla loro collaborazione artistica, focalizzandoci più nello specifico sul loro secondo album, ovvero In The Name Of.
Cominciamo dal vostro primo album What Tomorrow?. Il disco è vicino a sonorità maggiormente contemplate da Amerigo con un approccio maggiormente arty, in cui si interseca un sound vicino alla library music o al synth pop. Out Of Money e I’m In The Kitchen, She’s In The Car appaiono come le hit principali del disco, attraverso un pop sintetico accattivante la prima e un pop più cantautorale e psichedelico allo stesso tempo la seconda. Amerigo e Deje, parlateci di questo passaggio, da dischi come Il Sogno Di Maila di Amerigo, a questo tuo progetto in collaborazione con Deje (Matteo D’Astore).
Amerigo Verardi: “Immagino che in Maverick Persona possano esserci anche dei riflessi delle passate esperienze, sia mie che di Matteo. Per la verità non sono mai stato interessato a tracciare particolari linee di coerenza artistica. Sono molto più interessato alla ricerca. E la collaborazione con un musicista giovane e talentuoso ma tanto diverso da me, è stata la chiave per rigenerare il mio entusiasmo, la mia curiosità e il mio senso del “rischio”. Ho cercato di azzerare le mie confort zones. E’ stato come calarsi in una grotta sotterranea mai violata prima. Molto emozionante, devo dire. I’m In The Kitchen è l’unica eccezione di entrambi gli album, una canzone che quasi per intero era stata scritta in precedenza e secondo modalità più tipicamente cantautorali, non indicative di uno stile che nell’arco di un anno credo abbia già raggiunto una sua ormai evidente riconoscibilità.”
Matteo D’Astore: “Così come Amerigo, cerco in continuazione nuovi stimoli per esplorare territori sconosciuti della musica. La nascita dei Maverick Persona mi ha fatto crescere particolarmente e “What Tomorrow?” ne è la prova. Ho sempre orbitato attorno alla contaminazione e alla sperimentazione, e la collaborazione con Amerigo mi ha dato la possibilità di osare ed approcciare a sonorità che mi interessano da tempo.”
Parlateci con quali idee è esordito il processo creativo dell’album In The Name Of e come si è sviluppato.
Amerigo Verardi: “I suoni per noi sono come ritrovamenti. Schegge di passato, presente e futuro. E la musica è la materia artistica in grado di unirle per far emergere o generare ex novo realtà più complesse. Noi ci occupiamo di recuperare le schegge, conferendo una lettura personale e un senso a questi ritrovamenti per poi metterli insieme e svilupparli con criteri non codificabili che riguardano tanto la sfera musicale e letteraria quanto quella sociale e psicologica. Questo è stato l’incipit di ogni viaggio di Maverick Persona, finora, almeno dal mio punto di vista.”
Matteo D’Astore: “Non abbiamo smesso di sognare. Dopo l’esordio, non siamo riusciti ad arginare questa “piena artistica” che ci ha inevitabilmente portato, durante diversi stati di supercoscienza, a confezionare l’ennesimo trip sonoro targato M.P..”
Complete The Task rappresenta la pantomima dell’uomo ordinario dei tempi moderni, conformista e sbruffone, un personaggio da un punto di vista oggettivo fuori dalle righe, per l’appunto un Maverick Persona. Il suono dinamico e diretto, una versione electro-punk di un sound downtempo tipico del vostro duo. Come nasce l’idea di questo pezzo iconico che potrebbe essere la summa del vostro progetto, e che avete sfruttato, occasionalmente o meno, per il vostro secondo lavoro?
Amerigo Verardi: “È venuto semplicemente fuori, come tanti altri, sull’impulso di una ritmica quasi kraut e un cantato strafottente quanto basta. Questo nella prima parte, poi naturalmente il pezzo prende altre strade, proprio come il protagonista, un ragazzo obeso e di “buona famiglia” che a un certo punto sente di averne abbastanza, e che quindi si ribella drasticamente non solo al cibo e alla famiglia stessa ma, più in generale, ad una realtà che non corrisponde né soddisfa il suo sentire, il suo essere.”
Matteo D’Astore: “Credo che, inoltre, sia il pezzo perfetto per aprire l’album. Vieni catapultato da un incalzante groove ad una nostalgica ballad, mentre un treno si allontana verso destinazioni sconosciute.”
L’isolamento informatico è il tema centrale di Underworld Conspiracy in cui narrazione quotidiana si confonde con uno scenario distopico. L’istanza del progresso tecnologico si interseca con concetti ineleganti e poco rassicuranti, in maniera autentica e realistica, secondo un gioco quasi post-moderno. Parlateci delle immagini che volete far evocare all’ascoltatore con questo pezzo.
Amerigo Verardi: “Io lo associo a uno dei drammi del nostro attuale contesto. L’illusione di sfruttare certa tecnologia, quando invece è lei a usarti, consumarti e ad anestetizzarti lo spirito. Se provi a deviare questo corso, cercando di uscirne o addirittura provando a fregare il sistema, puoi finire ancora peggio, isolato o perseguitato. Nella parte centrale del brano, per me la più inquietante, il protagonista viene prima arrestato, poi rilasciato ed infine abbandonato come un cane in autostrada. E chi lo ha fatto pensa evidentemente che non abbia senso tenere in galera qualcuno che invece può ancora essere sfruttato. È una visione esasperata e tragica, ma per diversi aspetti non così lontana dalla realtà.”
Una melodicità esotica con un approccio sperimentalmente obliquo è protagonista in In The Name Of, riguardo il tema dell’affiliazione nel contesto socio-politico, da cui scaturiscono violenze e ingiustizie. Il pezzo è peculiare nella sua scrittura compositiva, in cui un suono cantautorale, si declina in dirompenti divagazioni krautrock e psichedeliche, facendo del pezzo una summa di tutto l’album. Come nasce questo approccio sonoro per quanto riguarda questo pezzo?
Amerigo Verardi: “Il concetto di “frammentazione”, che è presente in tutto l’album, in questo brano è portato alle estreme conseguenze. Frammentazione dell’anima, della psiche, del tessuto sociale, e quindi anche del suono e della cosiddetta forma-canzone. Cerchiamo con Matteo di riportare in musica e parole quello che viviamo e osserviamo ogni giorno, cercando di trasformare le visioni negative in un suono che abbia una bellezza intrinseca, una via d’uscita rigeneratrice che cinicamente viene sottratta a molti e che nel nostro piccolo proviamo a restituire.”
Matteo D’Astore: “La title-track non poteva che picchiare duro. C’abbiam preso gusto a spezzettare la nostra musica, proprio per togliere (a noi stessi, in primis) le coordinate.”
Successivamente alla caustica, quasi residentiana, nonché strumentale Sirashka, Where Are You esordisce con un sample che richiama o riproduce il drumming di Giulio Capiozzo degli Area, per poi proseguire in derive jazz e dilatate che richiamano il prog italiano o più vagamente un post-punk à la Confusional Quartet. Una scrittura più complessa che si discosta per sonorità contemplate dal resto dell’album, infondendo una sensazione di austerità e interessante libertà creativa. Parlateci di questi due ultimi pezzi e come si sviluppa la loro particolare genesi.
Amerigo Verardi: “Sirashka è un’improvvisazione digitale senza rete e senza parametri, che utilizza suoni analogici campionati e trasfigurati per rendere concreto il frastuono mentale del protagonista che ha appena compiuto una strage in un ristorante messicano. In Where Are You viene rappresentata invece una delle domande esistenziali per eccellenza. Il ricorso a certe sonorità del passato corrisponde all’oscillare di uno spirito che conserva ancora barlumi di umanità calda, analogica, affettiva, e che è irrimediabilmente dirottata verso un futuro digitale e disumanizzato. È bello che tu abbia nominato una band di un periodo fantastico per la musica alternativa italiana, io ho adorato quella scena.”
Matteo D’Astore: “Sirashka era il perfetto interludio, così come “Dreaming Laurel Canyon”, per dar respiro dopo aver assaggiato l’atmosfera introspettiva e cupa che il disco offre. Una giostra sonora dal sapore totalmente free. Creare e registrare Where Are You, invece, è stato uno spasso come al solito. Con questo pezzo abbiamo voluto omaggiare il prog che ci ha sempre affascinato, proponendo un suono riarrangiato in chiave analogica e pseudo-umana.”
Dall’impostazione più downtempo e sghemba è la traccia Try To Get The Sun, permeata da un gusto vagamente mediorientale più del solito. Il pezzo potrebbe narrare le disillusioni della cultura di un tempo, soprattutto punk, che entra in crisi aprendosi ad un maggiore idealismo, discostandosi da un nichilismo di fondo. Parlateci del reale significato del pezzo, oggettivo o meno.
Amerigo Verardi: “Qui lo spirito del ragazzo protagonista si proietta finalmente verso un paesaggio cosmico, onirico, quasi allucinatorio, in cui riesce a fluttuare privo di gravità, lasciandosi alle spalle le difficoltà, la sofferenza, la frammentazione del corpo e della mente. E non si capisce veramente se abbia trovato questa specie di pace elevandosi attraverso la meditazione trascendentale o annullandosi con le droghe sintetiche.”
La chiusura dell’album, Turn On The Good Music, Louder!, si apre ad un’epifania più ottimistica, un superamento di tutte le cattive vibrazioni che hanno permeato l’intero disco nel suo pregresso evolversi. Il pezzo è contrassegnato da un pop cantautorale semplice, che si discosta musicalmente da tutto il resto anche se ne è una ideale appendice. Parlateci della genesi del pezzo e in che relazione è con tutto il lavoro.
Amerigo Verardi: “È una conclusione positiva, volutamente, dove l’elemento sonoro, la musica, diviene cura e riabilitazione. Il pezzo è apparentemente semplice, ma come potevano sembrarlo, se mi posso permettere, certe composizioni di Brian Wilson del periodo “Smile”. Far fluire delle complicazioni armoniche all’interno di veri e propri crack strutturali fino a far suonare tutto naturale, semplice, addirittura cantabile: questa è un’arte incredibilmente raffinata, e noi stiamo certamente anche lavorando per acquisirne dei segreti.”
Matteo D’Astore: “Turn On The Good Music, Louder! è stato, se non erro, uno tra i primi pezzi abbozzati per l’album e, al contrario di “What tomorrow?” che scivolava in atmosfere oscure, questo pezzo chiude nella maniera più umana, positiva ed armoniosa il progetto, risuonando nelle casse di chi lo ascolta proprio come un vero e proprio inno. Viva la musica!”