STREBLA, RUMORISMO SARCASTICO
di Giovanni Panetta
Intervista agli Strebla sul loro hardcore rumorista dai suoni sintetici. Esordio con Cemento, tra linee dissonanti, lisergiche, noise rock all'insegna del sarcasmo.
Cemento

Cover di Cemento (2021)

Aldilà di ogni ortodossia. Gli Strebla, quartetto da Bari che unisce hardcore, noise e suoni sintetici, insegue ciascuno di quei generi in maniera mai propriamente detta, offrendo un apporto più che personale in nome del DIY. Il gruppo è formato da Nicola Ditolve (voce e chitarra), Ottavia Farchi (voce e basso), Alessandro Francabandiera (synth) e Manuel Alboreto (batteria), e il Primo Giugno ha pubblicato il suo esordio, ovvero Cemento, in CD per le etichette Vollmer Industries, Troppistruzzi, 1a0, Rodomonte Dischi, Bari Hardcore, Zero Produzioni, e una label statunitense (di Kansas City), The Ghost Is Clear Records; mentre è uscita la versione cassetta per HÏR e ancora Bari Hardcore. Cemento è un disco internazionale per la sua eterodossia, dalla doppia lingua (inglese e italiano); si passa facilmente da un caustico e pesante noise (Rag, Tra Le Dita), passando per un post-hardcore consonante (Decapito), astrattismo sospeso e mefistofelico (Someone Locked The Door), e lisergico (Fatti D’Arme Di Una Guerra Senza Fortuna), fino all’improvvisazione libera dell’ultima traccia, denominata con un underscore. Presente è un nichilismo in fondo propositivo, dai diversi sample distorti che conferiscono un tono sarcastico, facendo il verso ad un perbenismo asfissiante e istituzionalizzato dall’alto. Un suono idiosincratico e fisico, contraddistinto da una massiccia polifonicità che lo rende assolutamente godibile e impressionante dal vivo. Come verrà segnalato più avanti, il gruppo si appresta a riprendere l’attività live, con date in territorio extra-pugliese. Una band nuova e locale che andrebbe subito ascoltata e supportata.

Una particolarità è la foto della copertina di Cemento, tratta dalla mostra “Vivere sotto una cupa minaccia“, quest’ultima allestita al Festival della Fotografia Etica di Lodi; in essa sono stati presenti gli scatti del fotografo Michele Guyot Bourg del periodo 1988-’92, dove vengono immortalati momenti di quotidianità sotto l’allora Ponte Morandi di Genova, un luogo a quei tempi urbanizzato dove la gente viveva quasi imperturbata, e avrebbe continuato a vivere prima del catastrofico evento del crollo di quella infrastruttura. Le foto, di un bianco e nero incolore, sospendono l’attimo e la tragedia imminente, in cui il cemento del ponte invade quegli spazi, infondendo un’idea di progresso opprimente; e anche gli stessi Strebla vogliono comunicare esplicitamente quel sentimento in maniera più viscerale e mefistofelica, attraverso quel vortice rumorista e sintetico e le associate parole presenti nell’album.

Di seguito l’intervista agli Strebla sulla loro musica, sulle influenze e sul loro futuro.

Allora, come nascono gli Strebla, e come si evolvono nella loro commistione tra potenza post-hardcore e distorta sinteticità? Da dove deriva l’immaginario oscuro e incendiario nel contesto pugliese? Inoltre qual è stato il corso del vostro esordio omonimo, e a cosa è collegato il vostro nickname?

“Gli STREBLA sono un progetto che parte da lontano, più o meno dal 2018, dalla voglia di Nicola (chitarra e voce) e Alessandro (sintetizzatori) di dare vita a un nuovo progetto più spinto e più originale rispetto ai loro precedenti gruppi. La prima ad aggiungersi è stata Ottavia al basso e poi, dopo un po’ di sperimentazioni e prove in 3 in cui abbiamo condiviso ascolti e visioni sulla musica, si è aggiunto alla batteria Manuel, con cui alcuni di noi avevano già suonato in passato. E’ quindi un progetto che ha unito persone con esperienze musicali diverse e varie che si sono unite per sperimentare in maniera cattiva e distorta in sala prove, facendoci guidare dall’emozione. Anche nel nome volevamo una certa cacofonia e dopo aver scandagliato i vocabolari in cerca di nomi slavi, abbiamo optato per storpiare lo slovacco “strelba” (“tiro”, “sparo”) in STREBLA, che a quanto pare è un genere in biologia e ha a che vedere con dei parassiti che infestano i pipistrelli.”

Il vostro album si muove in territori nichilisti, generalmente punk, e più specificamente dissonanti e irregolari. Il genere prevalente è un post-hardcore contaminato dall’industrial, contraddistinto da un paesaggio glaciale e rovente allo stesso tempo. C’è energia ribaltatrice, e allo stesso tempo le linee sono respingenti, caustiche; c’è nichilismo ma in senso propositivo, ed è presente un intento di sovversione in uno stile sorprendentemente post-punk nella sua accezione letterale, mai derivativa, barcamenandosi tra collettivismo e gioco di facciata con l’individualismo. Un’attitudine che converge ad un artigianato lisergico grazie all’ampio uso di campionamenti che vengono distorti, che riproducono tracce di una realtà provinciale e fin troppo istituzionalizzata, e per via dell’utilizzo del synth, che conferisce un tocco urticante e spesso anche etereo ai pezzi, come se quei suoni provenissero da un ambiente alieno. Chiesto semplicemente, come nasce in voi questa sinteticità eterodossa, e come viene abbinata nel contesto più classicamente hardcore?

“La sinteticità è un tratto per noi molto importante poiché ci permette di dare sfumature particolari ai pezzi che scriviamo.. permette di rendere più straniante, industriale e ossessiva la musica oltre che più potente ovviamente. Ci permette di seguire percorsi alternativi e ampliare le possibilità sonore che solo con chitarra, basso e batteria sarebbero limitate. Secondo noi il synth è uno strumento divertente quando viene mischiato con la musica violenta, la rende decisamente più angosciante.. Tra l’altro il buon Ale ha da poco aggiunto al suo armamentario un nuovo sequencer costruito dal nostro amico Andrea Toriello quindi ne sentirete decisamente delle brutte…”

Strebla

Strebla live. Sul palco, da sinistra a destra: Alessandro Francabandiera, Nicola Ditolve e Ottavia Farchi. Foto di Luciano Cesari (ipoloqi).

Rag è permeata da suoni potenti e da parole introspettive e nichiliste che potrebbero alludere alla tossicodipendenza (come anche il campione presente nel pezzo suggerisce). Uno scenario di malessere che quelle frasi portano a galla (“When I was small I fell down below the surface of the earth to scrape my body with hell and I moved, I scraped, I cried as a pretender with no lies who tries to save his soul pushing a knife into my eyes”). Relativamente a quanto detto anche nella domanda precedenti, come si colloca la tematica più personalistica del nichilismo e dell’alienazione autodistruttiva nella vostra poetica?

“Rag è il pezzo un po’ più “americano” del disco, un divertissement in inglese dal tiro punk sicuramente frutto di tutti gli ascolti di NoMeansNo e Dead Kennedys che ci siamo fatti nel corso dell’adolescenza. E’ un testo che vuole raccontare come il nichilismo attivo e autodistruttivo, in qualsiasi forma, possa effettivamente essere per qualcuno un’adeguata risposta alla merda del mondo. Ovviamente non è un testo né apologetico, né autobiografico, né tanto meno moralizzatore ma vuole riflettere sul concetto di libertà a farsi del male, libertà a fare della propria vita un disastro come risposta alla barbarie colorata che il mondo ti vende, per tentare di andare oltre la narrazione del disagio a suon di “poverino”.. “Poverino” è chi sente il peso di stare a questo mondo o chi appena l’amministrazione comunale mette gli autobus nuovi va in brodo di giuggiole? Crediamo che al riguardo il sample a fine canzone dica tutto.. anche per il rispetto che nutriamo verso questo ragazzo e la sua testimonianza (Borgata Romanina 1978) preferiremmo rimangano le sue parole, che racchiudono più significati di qualsiasi saggio politico o comizio…”

Per quanto riguarda Decapito, siamo davanti al pezzo più consonante del vostro lavoro, ma in maniera intelligente. La traccia si muove in territori post-harcore melodico, che sembra attingere alla Revolution Summer washingtoniana, ma con un’ottica moderna, e con un riff più propriamente math rock. Ancora una volta torna un certo nichilismo nel testo, ma più accogliente, senza in fin dei conti accorgersene troppo (tranne per quell’iconico verso “COL SANGUE SULLA FACCIA SPUTO SOPRA GLI DEI”). Vi chiedo il motivo di questa maggiore consonanza e come mai è diversamente decontestualizzato da tutto il resto. Come si evolverà tale suono nei prossimi album?

“Decapito tradisce la parte tenerona degli Strebla, a cui effettivamente piacciono le melodie e il math in piccole dosi. E’ un pezzo a cui siamo molto legati, forse uno dei primi conclusi tutti insieme. E’ stato scritto di cuore e dovevamo assolutamente includerlo in Cemento. Pur avendo un’emotività diversa rispetto ad altri pezzi del disco ci sembrava filasse comunque con lo spirito dell’album e del gruppo. E poi ci piacciono i dischi con le sorprese…
“Sarà sicuramente un lato di noi che inevitabilmente continuerà ad affiorare, sempre mutato e sempre mischiato con le altre influenze che ci rendono la band che siamo.”

Strebla live

Strebla live. Da sinistra a destra: Manuel Alboreto e Nicola Ditolve. foto di Luciano Cesari (ipoloqi).

Houdini sembra parlare del razzismo, tema molto attuale in questi ultimi tempi. Un testo molto evocativo, che esplica al meglio la situazione, dove c’è un finale ambivalente (“Sulla fossa della storia piangerò le mie lacrime ma dammi un sorriso da difendere/Perché/Perché nell’armadio ho un paio di ali nuove/Tutti nell’armadio hanno un paio di ali nuove”). Penso che sia un buon modo di affrontare la tematica: infondere negli ultimi versi una sensazione di ingiusta fine e inizio idealista, esortando l’Uomo all’operatività, in bilico tra necessarie responsabilità nel cambiare una situazione e accomodanti colpe alle quali siamo abituati. Condividete questo mio pensiero, come logica che il pezzo vuole innescare?

“Non siamo soliti spiegare i nostri pezzi perché riteniamo ognuno poi debba cogliere da essi ciò che vuole e ciò che gli serve. Houdini come altri pezzi è formata da suggestioni, incubi, fastidi, rabbie personali. Quella parte di testo in particolare parla del rivendicare i propri morti, i propri caduti, versare le proprie lacrime su questa strada fatta di orrore che chiamiamo Storia ma con la consapevolezza di poter reagire, potersi rialzare ogni volta con ancora più forza. Questo testo fu scritto nei giorni in cui arrivarono dalla Siria le notizie della morte del compagno Lorenzo Orsetti detto Orso, partigiano della YPG.”

L’ultimo pezzo, intitolato con un “_”, è pura improvvisazione libera in cui è presente il consueto campione. Ancora presente il nichilismo, e questa volta il target sembra essere il consumismo, in cui il sample è una parte di pubblicità che viene distorta, contornata dai synth e i feedback della chitarra con gli amplificatori in overload. È interessante questo gioco “free punk” che trovo molto peculiare all’interno dell’album, forse di stoogesiana memoria (alla fine si attinge sempre dai capolavori, come Funhouse, in relazione alla final track di impro). Vi chiedo se nei live o nei prossimi lavori sono o saranno presenti questi tipi di performance, e che rapporto avete con l’improvvisazione libera.

“Il nostro rapporto con l’improvvisazione libera è di puro amore. Oltre al fatto che nei nostri live è presente di base una buona dose di improvvisazione: le parti ci sono ma ci lasciamo sempre un margine per divertirci come i bimbi che siamo.. In particolare nell’ultimo periodo di assenza di live ci siamo cimentati in linguaggi decisamente più free jazz e avant-garde attraverso tante jam libere. La cosa funziona e abbiamo notato che le nostre menti spesso comunicano telepaticamente per raggiungere intenzioni comuni quando suoniamo. Pensiamo di dedicarci un lavoro a parte prima o poi, magari una raccolta di improvvisazioni collettive lo-fi su tape. E’ un altro lato di noi che ci diverte molto e che ci piacerebbe mostrare.”

Ottavia Farchi

Ottavia Farchi. Foto di Luciano Cesari (ipoloqi).

Tornando alle ispirazioni, un suono che sa dove attingere. Nei vostri live è presente una cover di Bad Penny dei Big Black, gruppo che in gran parte ricalca la vostra struttura e tematiche. Vi chiedo, quanto vi sentite riconoscenti al corpus poetico di Steve Albini e soci? Inoltre se dovete la vostra parte anche a gruppi come Die Kreuzen o più in generale i Black Flag post-My War.

“Beh, ad Albini dobbiamo tantissimo: i suoi progetti e i gruppi che ha prodotto, soprattutto Jesus Lizard e Slint, ci hanno aperto le porte verso non solo un genere ma verso un’attitudine e per derivazione siamo arrivati anche a gruppi come i Black Flag e a tutto l’hc americano e italiano di quegli anni… A entrambi questi mondi, alle loro commistioni, alle loro mutazioni dobbiamo tutto. All’underground e alle scene, vecchie e nuove, gruppi come noi devono tutto.”

Per concludere vi chiedo quali saranno i prossimi progetti del gruppo, a livello di concerti e lavorazione di dischi, e cosa dobbiamo aspettarci dal vostro prossimo album.

“Al momento il programma principale è di recuperare questi mesi di fermo senza live portando Cemento in giro dal vivo. Al momento le date fissate del tour assieme agli Antidigos (in cui ora Nicola suona il basso e Manuel la batteria) sono:

26/6 @Officina Popolare Jolly Roger– Civitanova
27/6 @La Scintilla– Modena
3/7 @Ex-Caserma Liberata– Bari

ma si stanno aggiungendo e organizzando altri appuntamenti anche a luglio e dopo.
“Per il secondo disco ovviamente aspettiamo un po’, per goderci questo appena uscito, anche se abbiamo già 4/5 pezzi nuovi pronti. Senz’altro speriamo ci diverta ancora di più e abbia la stessa sincerità e attitudine, le follie musicali tanto le sentirete sicuramente. Ci vediamo sopra e sotto i palchi. Grazie mille a Nikilzine per le belle domande e per lo spazio che ci ha dedicato. Up the punx.”

Share This