Una canzone può essere fruita come un fluire di note dell’ordine del continuo, oppure in un numero discreto di parole che vanno a costituire un discorso o un’istantanea fatto ad esempio di bit o pixel. L’autore Deian Martinelli (già in Deian E Lorsoglabro) si barcamena tra questi due numeri transfiniti (riprendendo la teoria degli ordini degli infiniti del matematico russo Georg Cantor), e il 10 Marzo 2023 pubblica per Gigiabooking, Tega e Sounzone il suo primo album solista Figure, dalle due sfaccettature, quella per l’appunto continua e discreta, nel segno del barocco. I testi di Deian sono caratterizzati da un certo realismo travestito da storia surreale, e la musica implementa questo processo, in nome di un’immaginazione fervida e multiforme, in nome dell’imprevedibilità.
Scopriamo di più della carriera e dell’immaginario di Deian attraverso le sue produzioni, tra cui il suo solo in Figure.
Deian, il tuo suono in Figure lo catalogherei come pop-barocco, però in un’accezione laterale. Le trame, la melodicità è quella simile ai Beatles, in cui si tergiversa verso un suono “da camera” o bachiano… diciamo che Johann S. Bach non era propriamente un musicista barocco, ma certi suoi fraseggi, come i tuoi, sono strutturati a cellule omogenee; in più tra te e il musicista tedesco vi è allo stesso tempo un ordine netto, lucido ed elastico. Da dove nasce quindi il tuo suono multiforme ed armonico?
“Sorrido dell’accostamento col collega Johann. Per quanto mi riguarda sono un autodidatta e non ho alcuna preparazione formale rispetto alla teoria musicale. Ciò che ho imparato è del tutto empirico e ciò che produco è il frutto di una selezione di ingredienti, regolata da algoritmi naturali di cui non conosco nemmeno io bene il funzionamento, ma hanno come criterio fondamentale la sensazione che producono in me: sono combinazioni di parole, accostamenti armonici e ritmici che si compongono a formare un quadro unitario che mi risulti denso di significato. Molto probabilmente a regolamentare quel criterio è il bagaglio delle influenze (oggi lo chiamano “bias culturale”), e in questo senso mi sento per forza di cose più debitore ai Beatles.
“Nella fattispecie, la questione della forma è interessante perché le parti di un brano devono trovarsi in un equilibrio che può sembrare contraddittorio tra un’omogeneità che ne garantisca coerenza e riconoscibilità, e un’imprevedibilità che lo renda originale e quanto più possibile unico.
“In verità, come spesso accade, le cose sono più semplici quando semplicemente accadono, rispetto a quando si cerchi di comprenderne e spiegarne il funzionamento. Stando alle grandi dicotomie calcistiche potrei dire di avere un approccio allegriano quando compongo e uno sacchiano quando scrivo una risposta come questa.”
I tuoi testi sono intelligenti nella loro naïveté, giocano in modo dada ma offrono un realistico specchio del quotidiano. Diciamo che si perde il concetto di dimensione e spazio che separa il mondo dell’immaginario da quello di un mondo reale più asettico. Quali sono le tue ispirazioni per l’aspetto verbale?
“Mi fa molto piacere la domanda perché mi sembra che hai centrato il punto. Non mi muovo con un’idea predeterminata, ma riconosco ciò che hai rilevato nella descrizione che hai fatto dei testi in generale. Amo il modo in cui il linguaggio è rimodellato secondo codici originali nelle canzoni dadaiste di Camillas e Crema, l’assenza di un filtro e il flusso in Pop X, la capacità di associare idee lontanissime in Giacomo Laser (Gioacchino Turù e Vanessa V), la franchezza e le immagini de Latleta (fu Vittorio Cane): in un modo o nell’altro tutti un po’ debitori a Battiato e Dalla (o chi per loro, parlando di testi). Poi c’è sempre la presenza di Syd Barrett, che per me è quasi un feticcio, seppure si stia parlando in quest’ultimo caso di un’altra lingua rispetto all’italiano; però il suo esprimersi attraverso un uso quasi completamente simbolico delle parole e il modo in cui il significante stesso è intriso di senso per via delle sue caratteristiche formali è qualcosa che non smette di meravigliarmi, unitamente all’adesione a un registro intimo ma estremamente stratificato, capace di trattare con la stessa leggerezza sia la più banale quotidianità sia le questioni più profonde e metafisiche.”
I pezzi a volte hanno un’intrinseca malinconia, Figure Strane ha un andamento soul e Mostro è strutturata in uno stile “barber shop quartet”, ma sotto la patina accogliente si nasconde in entrambe una relativa sfiducia in sé stessi e negli altri. Raccontaci da dove nasce questo personaggio dal doppio volto.
“Ritengo che l’ambiguità in una canzone sia una qualità. Ciò vale anche per il fatto che possa esserci una dissonanza tra il testo e il contesto musicale. Affrontare il disagio in un testo e farlo poggiare su una musica ammiccante o allegra è una soluzione che mi ha sempre affascinato. Figure Strane è un pezzo pop fatto e finito, con tanto di ritornello fischiettato, ma parla di inerzia e asocialità, mentre l’idea di Mostro nasce dal dispiacere di constatare il persistere nei millenni della tendenza a considerare il male come qualcosa di separato da sé, attribuendogli le fattezze del nemico di turno.”
Deltaplani è un pop disomogeneo riflette un’attitudine naif e sfuggente come quella tematica introspettiva: la distanza tra un “noi” e un “loro” sognante e catartico, come lo stesso climax nel ritornello, che assume sfumature atonali. Parlaci del pezzo e della sua genesi.
“Lo vedo come una specie di sogno, un avvicendarsi incoerente di immagini che si susseguono, in cui le parole si fondono le une nelle altre come appunto le immagini di un sogno. Un bel sogno in cui entrano la nostalgia e l’idillio, ma in cui aleggia la consapevolezza che – presto o tardi – sopraggiungerà inevitabilmente il risveglio, e che quei satelliti-deltaplani-cartoni animati non torneranno più.”
L’album Prezzo Speciale, tuo con i Lorsoglabro, assume ancora una volta inflessioni lateralmente barocche con elementi più krautrock e abrasivi. Compaiono testi scanzonati e astrattisti (CONO SCOMPOSTO), bordate psych-kraut (HALLOPOLLO) e una psichedelìa più scampanellante (IL POSSIBLE). Parlaci di questo album e come si evolve il progetto fino a Figure.
“Prezzo Speciale è stato l’ultimo disco con Lorsoglabro, che in quel momento erano Gabriele Maggiorotto e Alberto Moretti. Seguiva il primo, Omonimo, rispetto al quale ci sono arrangiamenti più basici, anche se nell’eterogeneità della tracklist si può trovare una certa varietà. In seguito c’è stato un altro disco che è stato registrato ma che non ha mai visto la luce perché nel frattempo ho iniziato a voler recuperare quella vena solitaria che in un gruppo non riuscivo a integrare completamente. Il disco fantasma è stato ribattezzato affettuosamente Aborto, e di quelle sessioni ho recuperato Franco e Questa Non è una Canzone, le ultime due di Figure, che erano già parte di questa nuova fase ed erano state registrate per ultime da me solo, con mio fratello, Tristan. Rispetto a quel passato, mi sono messo a fare pezzi più svincolati dalla necessità di essere riprodotti in veste power trio rock, migrando progressivamente dalla chitarra al pianoforte. Nel 2019 con Giacomo Laser abbiamo creato un breve opera informale in un’unica traccia che si chiamo Caro Alfabeto (presente solo su bandcamp), in cui si alternano letture, conversazioni, incastri ritmici e delle bozze di alcune canzoni che sono poi entrate in quest’ultimo disco.”
Per concludere, svelaci le novità con i prossimi concerti e riguardo i tuoi progetti nell’imminente futuro.
“Adesso ci saranno un po’ di date. Il 21 aprile a Roma (Chourmo) e il 22 a Foligno (house concert). Il 7 maggio al Magazzino sul Po di Torino ci sarà una presentazione del disco con amici ospiti sul palco e Latleta. Poi 10/5 Firenze (Volume), 12/5 Milano (Labellascheggia), 14/5 Bar Zaghi a Lodi, quindi Bologna, a luglio ai Bagni Elsa di Fano. Il calendario è in costante definizione, sui social comunicherò via via le cose.
“Quanto ai progetti per il futuro, non saprei. Potrei pubblicare un po’ di canzoni che ho lì, inedite. Più probabilmente il mio futuro potrebbe essere quello di un piccolo Gianpiero Ventura, senza buonuscita.”