Il viaggio geografico e onirico dei Māyā
di Giovanni Panetta
Intervista al progetto marchigiano Māyā sul loro ultimo lavoro Artifício Fantástico.

Cover di Artifício Fantástico. Artwork di Giacomo Giovannetti.

I Māyā sono un trio marchigiano formato da Michele Alessandrini (batteria), Francesco Balducci (chitarra elettrica) e David Cavalloro (basso), il quale amalgama il proprio baricentro culturale occidentale con digressioni centrifughe dal fascino esotico. In questo 2025 esce per l’etichetta corregionale Bloody Sound l’esordio intitolato Artifício Fantástico, in cui sono protagoniste influenze africane, latine e con un retaggio psichedelico, grazie in parte all’esperienza pregressa di Alessandrini e Cavalloro nel gruppo post-punk/garage/kraut Lush Rimbaud. Un suono che vuole essere espressivo anche per la sua valenza melodica e armonizzante, la quale scaturisce non solo da esplorazioni spaziali, ma anche da un approccio astratto e lateralmente onirico.

Parliamo del viaggio geografico e intimo di Artifício Fantástico insieme ai Māyā nella seguente intervista.

Partiamo nel parlare del progetto Māyā e con quali intenzioni si sviluppa. Artifício Fantástico esplora le potenzialità del suono in senso latino secondo un’impostazione occidentale da un punto di vista psych. Linee non solo armonicamente esotiche, ma che racchiudono strutture schematiche legate in parte alla cultura nostrana alternative o weird, creando un ibrido insieme a qualche rimando afro. A quali di queste componenti vi sentite più in empatia?

“Il filo conduttore del gruppo consiste proprio nel meltin’ pot fra le varie componenti, che proviamo a far coesistere. Difficile dire quale elemento prevalga nella miscela, ma sicuramente si ritrovano tutti quelli menzionati sopra. Dall’estrazione alternative della composizione generale dei brani e di alcune sonorità, ai ritmi del sud del mondo, fino a melodie che incorporano sequenze esotiche.”

Molti di voi provengono dai Lush Rimbaud, gruppo che unisce melodie garage rock con krautrock in maniera specifica. Questo primo progetto, in ordine cronologico, delinea forme stilizzate in cui il tutto, diversamente dai Māyā, è contraddistinto da un’attitudine palesemente punk. Da parte vostra, quali rapporti percepite tra i due progetti a livello di politica e sonorità?

“Da un lato, effettivamente, l’attitudine Māyā può apparire in contrasto con quella post-punk, essendo maggiorente rivolta all’armonia di contrasti ed elementi differenti, e intenzionata a generare colorate positive vibes. Dall’altro, tuttavia, la rivolta nel mondo odierno passa proprio per l’amore per l’ambiente e la ricerca del benessere naturale e “gratuito”, ribellandosi al sistema commerciale dell’esistenza.”

Māyā

I Māyā.

In merito a quanto detto prima, culture disparate si incontrano, in un senso forse contemplato maggiormente dalla parte occidentale, rimanendo in una scrittura che ritengo musicalmente molto sensibile nella parte armonica. Un rimando potrebbe essere molto blandamente il Lucio Battisti di Anima Latina o La Batteria, Il Contrabbasso, Eccetera; non tanto per il loro innescare fuochi d’artificio tropicalisti – i due album di Battisti in realtà sono qualcos’altro in più – ma per unire una parte lirica e accogliente in cui tra le righe si esprime un carattere più ostico, il quale nel vostro caso fa più velatamente da contorno e che si può percepire in diverse linee sghembe. Detto da voi, ci sono stati punti di riferimento per quanto riguarda artisti italiani che hanno guardato a più culture distanti?

“Siamo onorati del fatto che si risentano echi di artisti cantautorali in un album strumentale, e anche della fine percezione della coesistenza di contrasti fra leggerezza e parti spigolose. I nostri ascolti “formativi” si sono cibati ampiamente dei cantautori classici che hanno saputo guardare altrove, come appunto Battisti, i viaggi filosofici di Battiato, e tutti gli altri grandi Italiani ma anche stranieri: Leonard Cohen, Nick Cave nelle parti introspettive, Tom Waits nella morbida ruvidezza, Neil Young nella libertà degli orizzonti sconfinati, ecc, ecc. La lista può continuare a lungo.”

Molte tracce hanno un impostazione lateralmente carioca, come riff ellittici non-euclidei in Calypso Paulo e luci caleidoscopiche e lisergiche in Māyā Manifesto. I due pezzi appaiono (quasi) come prologo ed epilogo introducendo l’ascoltatore in mondi fantastici percepiti espressionisticamente. Parlateci di come avviene l’unione tonale in senso latino nella vostra poetica per quanto riguarda i due pezzi citati.

“La nostra intenzione non è quella di creare musica carioca, afro-beat, o lisergica tout-court. Non ne abbiamo le specificità e non ne sentiamo il bisogno. Il nostro viaggio è in gran parte emotivo e immaginario. Parte di queste culture però, come giustamente evidenziato, si ritrovano nei brani: possono rappresentarne talvolta un contorno oppure sbucare come elementi imprevisti in cornici differenti. Si parlava appunto di contrasti, anche fra musica ed emozioni: un’atmosfera rarefatta o un panorama islanedse potrebbero però cullare e offrire un soporifero relax, così come – contrariamente ai luoghi comuni, un’atmosfera solare potrebbe incutere timore. È possibile concepire questi contrasti? Se sì, possono vivere insieme nella musica dei Māyā.”

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