Fisicità sonora eterogenea in Ambasce
di Giovanni Panetta
Intervista monografica ad Ambasce (Alberto Picchi); alchimia fisica di suoni ed equilibrio eterogeneo tra opposti.
Isola Santa

Cover di Isola Santa. Foto di Nada Youssef.

Ambasce, nome d’arte di Alberto Picchi, è un compositore di musica elettronica legato ad istanze di improvvisazione e di ricerca degli opposti in musica combinati in un unicum, nonché co-owner dell’etichetta Lisca Records e componente del progetto sonoro VipCancro. Dopo aver militato in progetti punk e hardcore, dopo il ’00 Alberto pubblica tre album, tutti dischi basati sul plasmare fisicamente il suono, in cui l’espressività delle sue produzioni consiste nel suono stesso, ovvero nel bilancio eterogeneo di suoni, emblema dell’arte di Ambasce.

Ad Aprile 2022, Alberto pubblica Isola Santa per Dissipatio, disco dal suono austero ma diversificato e plastico allo stesso tempo, in cui diverge un suono intimo non disdegnando a tratti la propria sensibilità per la tradizione contemporanea.

Abbiamo rivolto alcune domande ad Alberto riguardo i suoi album solisti e i progetti futuri. Di seguito l’intervista.

Parliamo di alcuni lavori rispetto ad Isola Santa. Il Nastro Non È Vuoto (Luglio 2020, Falt) gioca maggiormente col concetto di vacuità sonora. Il contesto potrebbe essere cageano, infatti l’improvvisazione da spazio a quei vuoti, richiamando l’attenzione attraverso un gioco di compensazione e mettendo in evidenza la sua giocosità. Parlaci di come avviene quest’idea di equilibrio entropico tra frequenze nella tua poetica.

John Cage non è l’unica ispirazione, sicuramente una delle più evidenti. Ho amato il suo lavoro, in particolar modo i Number Pieces (soprattutto Two4) più compiuti nell’assenza pieno vuoto, suono silenzio. Non è che non voglia misurarmi con 4’33”, insomma è indiscutibile la percezione di quello che è stato, il gesto e il resto. Cage, Feldman sono con me, quest’ultimo sicuramente di più anche se credo che Cage, spesso, venga messo in secondo piano per il suo aspetto più popolare, noto e giocoso; invece è stato completo. Quando cerchi di parlare ad un interlocutore poco avvezzo spesso devi citare alcuni nomi e ci provi, ci riprovi e alla fine qualcuno tira fuori Cage. Va bene così.

“Il nastro non è vuoto, nasce proprio da un gioco con un nastro. Perdersi con uno strumento desueto, il mangianastri, a me particolarmente familiare e a cui sono riconoscente per il divertimento che ha sempre procurato fin da piccolo. Prima come strumento di diffusione, poi di autocoscienza, quindi di produzione.

“Tornando a Cage non era mia intenzione omaggiarlo ma sarei ipocrita a dire che non c’è Cage. Secondo il mio approccio apro il mio ultimo bagaglio, c’è dentro un po’ di tutto da Nono, Xenakis, Feldman, Stockhausen, Marchetti, Lucier, Rowe e altri che non ha più senso citare.  Sono partito a 15 anni con cose più serie, dai Sex Pistols, Clash, Stranglers, PIL, Crass, Dead Kennedys e poi i Sonic Youth. Quindi tutto il noise rock indie americano. Poi ci sarebbero anche Blue Gene Tyranny, persino Whitehouse, Nurse With Wound, insomma una lista infinita…

“La cassetta su Falt rappresenta questi studi in maniera perfetta, basica nella contrapposizione, quasi didascalica, ma ricca di spunti. Trovo che qui il mio lavoro rispecchi molto il mio umore, la poetica come base di partenza, va bene ma vado sempre dietro ad un suono e poi magari scopro che si adatta perfettamente ad altri scenari. Mi piace questo percorso che ti porta alla fine del riascolto ad una domanda: “come sono ci sono arrivato?”.”

Dig Diaries (Settembre 2020, Love Earth Music), è caratterizzato da un concretismo con distorsioni più harsh e meno liquide rispetto il precedente Nastro Non È Vuoto e ancor meno il successivo Isola Santa. La potenza del suono è centrale, caustica e totale, in cui il quotidiano, manipolato, manifesta il suo lato più mefistofelico. Parlaci del lavoro e, inerente a quanto argomentato e dal tuo canto, della tua sinossi interpretativa.

“Questo è sostanzialmente un diario sonoro, tanti spunti scritti e abbozzati su carta ma poi arrivo in un luogo. Alla fine, invece di perfezionare la bozza scritta, registri ma quando lo fai puoi partire da uno spunto pre-scritto o anche pre-registrato.

“Sono molto razionale in fase di registrazione e ancor di più nella composizione. Ho in mente alcuni punti fermi, poi parto e allora accade tutto il resto. Poi mi chiedo, che c’entra?  È invece incredibile quanto ritrovi tutto dopo! Thomas Bernahrd è stato importante in tutto questo ma non determinante. Alcuni dei luoghi visitati e registrati erano mete a lui connesse ma a parte l’intro (cosi volutamente esplicito) ho cercato di seguire la sua indole letteraria, spregiudicata in ogni sottolineatura. Nella prima traccia, ad un certo punto ci sono dei colpi di mano su una porta e poi si sentono delle voci; l’ispirazione arriva da A COLPI D’ASCIA ma il tutto è stato registrato vicino al Passo delle Radici, spesso innevato ma con nessuna connessione con Thomas Bernhard.”

Parlaci di come è nato Isola Santa e del contesto in cui si sono sviluppate le idee che più caratterizzano l’album.

“È interessante questo percorso. In realtà il disco non nasce con l’idea di luogo fisico, di Isola Santa. Questo lo dico con piacere, è un aspetto a cui tengo perché sembra quasi che tutto nasca da qui e invece no. In principio ho raccolto bozze di idee ma molto precise. Per questo lavoro, “studiato” per Dissipatio, ho creato qualcosa di diverso e stavolta non sono uscito molto dalla sceneggiatura anzi sono stato molto fedele all’idea primigenia. Tutto è nato da una traccia (che poi è Isola Santa) che ho messo insieme per una preview, ed ha rispecchiato perfettamente quanto intendevo ricreare. Il disco è incentrato su una dualità che qui più di altrove è volutamente studiata. Un compito che ho svolto secondo i principi prefissati.

“Ho usato un sacco di suoni di synth che hanno una precisa funzione di trasporto verso un lirismo più astratto, molto mistico poi, prima o dopo, la cruda realtà della materia e viceversa. Le mani e gli sfregamenti più disturbanti. E poi, alla fine delle registrazioni ed in pratica all’inizio del mixing sono tornato a Isola Santa (luogo incredibile di inverno a volte innevato e d’estate con tutte quelle sfumature di verde nell’ acqua in cui mi immergevo grazie ad uno dei miei più cari amici che aveva trovato qui un rifugio estivo) e ho ritrovato un sacco di punti di contatto con questo lavoro. Quindi il misticismo e la santità del luogo contrapposta a quello che è più che un artifizio, la diga, l’uomo e le sue sofferenze… insomma un’epifania. Subito è partita una serie di scatti fotografici improvvisati per l’artwork. Ricordo che era Gennaio, un mese per me strano ma ero molto felice in quel momento.”

Il disco gioca con suoni del quotidiano (rumori concreti presi da tape) accompagnati da accordi costanti di synth, come a creare una colonna sonora sospesa, immortalando quella realtà in una istantanea dall’impostazione ieratica, e in cui con pochi elementi si riflette sul vissuto personale, proprio come se si volesse sintetizzare o discretizzare in pochi elementi il movimento. Condividi che dietro Isola Santa ci sia un’impostazione introspettiva da parte non solo tua ma che si riflette anche in un ascolto esterno?

Senza dubbio, il posto è fatto proprio per questo. Ripeto, non era mia intenzione omaggiarla ma poi l’ho consacrata. Fate una visita prima o poi, i luoghi degli anni trascorsi e vissuti sono sotto pelle e riaffiorano quando non te li aspetti. Sono in agguato, ma non sai rivederli finché fortuitamente li riscopri. In conclusione l’aspetto più interessante di questo lavoro è la condizione umana e la curiosità dell’anima.”

Ambasce

Ambasce live al Dissipatio Fest (2023). Foto di Alberto Olivotto.

In Diga tanti glitch baluginano come scintille sulla texture sonora, in cui suoni lignei e materialmente farraginosi diventano protagonisti. Il suono continua lungo bordate eteree in maniera sospesa declinando il suono in onde pure sempre più estese. Parlaci di queste contrapposizioni e di questa plasticità concettuale.

“Intanto grazie, non saprei descrivere meglio Diga! La traccia è se vuoi disturbante e spezzata, e quindi può risultare spiazzante. Si apre con questo enorme ammasso di glitch che poi sembrano sparire ma riaffiorano. Mi sono divertito a mischiare rassicuranti suoni ambientali con improvvise dosi di terra gettata, arida e grattata. Poi anche la rasserenazione. Nelle letture e nell’arte sono molto contemporaneo. Non ho grande attrazione per il classico. Le forme d’arte più prossime alla mia data di nascita sono semplicemente più familiari. A volte però mi anniento di fronte alle evidenze del passato anche nell’arte. Diga è emblematica, come già detto porta dentro l’artifizio umano nella sua essenza più pura.”

In Operaio! è protagonista un concretismo con paesaggi ambient insieme ad elementi più cosmici. In essa compaiono oggetti in materiale fragile che vengono infranti, un elemento cinematografico come accennato, ma anche legato in un certo senso allo spettro della musica punk (vedasi i Pere Ubu in Sentimental Journey, da The Modern Dance (1978)). Come avviene questa concezione che concerne la manipolazione degli oggetti centrale nell’album e che converge in parte nella loro alterazione (magari dalla loro funzione primaria)?

“Sì, i Pere Ubu sono forse tra i più grandi che abbia mai ascoltato, però non ci crederai, ho registrato il tutto senza ricordarlo.

“Ho grande passione per la musica e una buona collezione di dischi e riconosco che non riesco a rinfrescare ogni suono ma è evidente che ce l’avevo da qualche parte quel suono. Non è un omaggio e la tua citazione mi fa paura.

“In Operaio! ho volutamente descritto una solitudine rumorosa, tanto operaia rispetto a Isola Santa ma l’idea di base era quella dell’uomo che si affanna (purtroppo anche io come tutti) verso una leggerezza mai raggiunta. E il fischiettio (confesso che ero perplesso all’inizio) mi è sembrato poi incredibilmente attuale. Potrebbe esserci la speranza che ognuno trovi la propria dimensione, alienante o meno credo sia possibile.”

Per concludere parlaci delle prossime novità riguardo i tuoi lavori di ricerca e dell’attività live a venire.

“Sto lavorando ad un suono più liquido, sono in fase di cambiamenti ma muto lentamente. Un suono molto digitale a prescindere dalla origine sonora (lavoro molto con suoni registrati poi fortemente trattati). Penso alla solita contrapposizione, matematica e respiri ma in maniera diversa.

“Ho un paio di lavori ancora da finalizzare ma dovrebbero concretizzarsi a breve.

“L’ultima esibizione è stata a metà Settembre scorso al Dissipatio Fest! Ottimo festival e festa per tutti noi, con grandi set. Mi sono divertito molto in ottima compagnia.

“In genere il “live” non è una componente per me fondamentale ma riconosco ogni volta la sua valenza, ravviva assolutamente ciò su cui rifletti e suoni soprattutto rafforza la tua ispirazione o semplicemente ti fa suonare; magari uno solo tra quelli arrivati di proposito o capitati per caso ti dice di aver trovato aspetti di interesse nel tuo suono e quindi riparte l’entusiasmo. È accaduto e ci basta. Lode agli appassionati! Fare dei passi avanti o indietro è indifferente.”

 

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