
Nicolas Gaunin.
Nicolas Gaunin, nome d’arte di Nicola Sanguin, è un artista proveniente da esperienze in gruppi psych (ad esempio dai Lay Llamas) per poi approdare in magmi elettronici e più astratti, in una veste cosmica e dancefloor. Dopo la pubblicazione di due album per Moon Glyph (Hulahula Kāne e Wormhole) vengono pubblicate per Artetetra divagazioni dai colori lucenti e forme ellittiche a nome di Huti ゲーム; un EP che unisce la potenzialità digitale, sintetica in più sensi e in maniera espressiva e libera, attingendo in parte dalla classica contemporanea del primo Novecento e in cui appare più rilevante l’influenza delle ultime frontiere della musica da club di origine africana.
Parliamo dei temi citati con Nicola Sanguin nella seguente intervista.
L’uscita precedente dell’EP Huti è l’album Wormhole uscito per Moon Glyph. Il disco prefigura un suono eterodosso in ambito elettronico, tuttavia il legame appare consolidato alla tradizione ambient e techno, tergiversando verso altro per l’appunto attraverso un approccio personale, diversamente dall’album più intensamente personale e magmatico, in quanto basato soprattutto sul ritmo, Hulahula Kāne (Moon Glyph). Parlaci di questa tua poetica in divenire.
“Innanzitutto sono felice che questo scarto estetico tra i due album pubblicati da Moon Glyph sia così evidente per chi ascolta. Era una direzione che meditavo da qualche tempo e che avevo condiviso anche a Steve Rosborough, il fondatore dell’etichetta di Portland, con il quale ho un ottimo rapporto basato su una fiducia reciproca di fondo che mi lascia ampi margini di sperimentazione. Venivo da due album e mezzo di ricerca su un linguaggio più vicino alla world music, ricco di paesaggi sonori naturali e ritmiche sincopate con campionamenti percussivi, che hanno delineato credo abbastanza chiaramente il suono di Nicolas Gaunin. Ma già tra il primo e il secondo album sentivo l’esigenza di evolvere: diciamo che in generale questa necessità di rimanere in movimento, di non accomodarmi su di un’estetica immobile, di non ripetere me stesso, ma appunto di evolvere, è il filo rosso che lega tutte le pubblicazioni, passate e future. La vera sfida per me è quella di evolvere mantenendo una chiara riconoscibilità: rimanere Gaunin nonostante l’utilizzo di nuove sonorità, forme e strutture. Chi mi conosce sa che questa per me rappresenta La Vera Sfida.
“Wormhole esplicita perfettamente questo modello di pensiero. Il titolo riassume tutto ciò: un wormhole infatti è un tunnel che unisce due punti spazio-temporali tra loro. E sì, in quel disco ho deciso di inserire sonorità più marcatamente elettroniche, qualche elemento più vicino alla cultura clubbing; questi elementi per così dire “hi-tech” spiegano ulteriormente il concept sci-fi dell’album. Aggiungo poi uno spunto generale che contestualizza meglio il progetto Nicolas Gaunin. Il primo disco, Noa Noa – uscito in cassetta per Artetetra – era un omaggio a Paul Gauguin e al suo libro Noa Noa nel quale egli racconta il suo viaggio polinesiano e il suo innamoramento per quel “profumo” esotico, per quella cultura primitiva, così lontana da quella occidentale percepita come soffocante. Gaunin nasce con la stessa esigenza di distacco da una cultura che percepisco come opprimente, irrespirabile. Dunque il progetto nasce da subito fortemente legato al concetto di viaggio: che sia reale o interiore, poco importa. Ecco che se nei primi due album il viaggio del mio alterego viene compiuto alla scoperta di paesaggi esotici nei quali ritrovare un profondo legame con la natura, esplorando anche le sue proprietà timbriche e musicali, con Wormhole – ormai saggio e consapevole – egli abbandona il nostro pianeta, alla scoperta di nuovi mondi e, appunto, nuove sonorità.

Cover di Wormhole. Artwork e design di Steve Rosborough.
“Al netto di queste motivazioni intrinseche di natura estetica, ve ne sono anche altre estrinseche di natura più pragmatica, che spiegano forse meglio l’impiego di quel piccolo nucleo di elementi squisitamente techno. Piano piano, nel corso delle mie varie esibizioni live dagli esordi fino ad oggi, ho sentito nascere la voglia di trovare un modo più diretto ed efficace per connettermi di più con il pubblico, in una modalità più fisica, non più solo mentale; il ritmo è sempre stata la cifra stilistica principale di Nicolas Gaunin, ma in Wormhole l’alto tasso di poliritmia legnosa, meno “ballabile”, ha lasciato spazio a una pulsazione meno complessa, più digeribile. Considera che io provengo da tutt’altro genere musicale; prima di questo progetto ho militato in gruppi rock-psichedelici, poi mi sono formato in Musica Elettronica al Conservatorio, ma in tutto ciò non ho mai frequentato il dancefloor o la cultura clubbing. In realtà un po’ me ne pento, perché ne sto scoprendo solo ora la funzione sociale, folkloristica, catartica. Ti racconto tutto ciò perché proprio in quest’ultimo anno mi sono dedicato molto nella preparazione di live set pensati in quest’ottica, allo scopo di innescare il movimento del corpo (anche il mio), per promuovere una componente catartica e trasformativa della mia musica, senza tuttavia tradire la mia estetica e la natura del progetto.
Tutto ciò ha origine nel salto spazio-temporale di Wormhole.”
Koala Joke di Wormhole presenta una inaspettata tendenza verso sonorità ellittiche, ovvero un difforme jingle in senso jazz o funk. Il pezzo anticipa l’ulteriore sviluppo con Huti da un punto di vista concreto per via di una certa similitudine, o perlomeno dipingendo secondo linee generali uno scenario eccentrico della stessa misura. Come avviene la citata peculiarità?
“Questo collegamento tra Koala Joke e Huti ゲームmi coglie di sorpresa! Provo a ragionarci partendo dalla genesi del brano. Come al solito la chiusura di un concept album mi mette sempre in difficoltà, perché è una scelta delicata che rimanda a una serie di altre questioni, una su tutte al concetto di forma, perché l’ultimo è un brano che mette un punto e rimanda a capo. Nel caso di Wormhole ho ragionato sul fatto che mi sarebbe piaciuto chiudere in modo buffo, giocoso, lasciando l’ascoltatore con un aneddoto simpatico. A dirla tutta, ora che ci penso, tutti i miei album fin qui hanno questa caratteristica, perché tutti chiudono con un brano leggero, luminoso, scanzonato. Quasi a dare un segnale di speranza. Perché vedi, Nicolas Gaunin è anche questo: prendersi sul serio non prendendosi veramente sul serio, cercare un registro musicale ostico ma facile, giocare a caso con i suoni trovandone una forma, cercare la profondità non avendo capito ancora nulla della vita; una serie di ossimori, legati tra loro da un messaggio di speranza. Ci tengo ad essere chiaro: non voglio prendere parte a quella cultura del “no-future”, nonostante tutto nel mondo ci stia dicendo esattamente questo, sebbene la direzione sia rivolta in modo conclamato verso il baratro. Non può spegnersi la fiamma della speranza. Ma come fare? Beh ci sono vari modi. Nicolas Gaunin lo uso per dimostrare che un’alternativa è possibile, basta volerlo. Non lo faccio servendomi di un linguaggio austero, cupo, ma bensì con il suo esatto contrario, con piccole melodie sorrette da ritmi traballanti, da un utilizzo a tratti comico dei timbri, da un uso consapevole dell’errore.
“Tornando alla tua domanda, Wormhole chiude appunto con Koala Joke, un brano che è prima di tutto buffo e scanzonato. Sono andato a riguardare i miei appunti perché ricordavo un aneddoto simpatico su questo pezzo. Nella mia testa il concept album si chiude con Nicolas Gaunin che sta proseguendo il suo viaggio cosmico nella sua navicella spaziale, e l’ultima immagine che chiude il disco è uno zoom, un primo piano di un koala con uno sguardo placido, che si scopre essere sempre rimasto nascosto all’interno dell’astronave. Infatti un titolo alternativo (e decisamente più didascalico) era “There Was A Koala In My Spaceship”, che mi venne però bocciato da Steve! Dunque il koala cosa rappresenta? Sostanzialmente due cose: un collegamento con i paesaggi esotici dei precedenti album e un elemento comico. L’essenza della comicità non è altro che un qualcosa che assolutamente non ti aspetti, la classica buccia di banana, un qualcosa che sabota il normale corso delle cose. Il koala è la buccia di banana. Se penso invece alla scrittura del brano, effettivamente si collega alla tecnica che ho utilizzato per scrivere Huti ゲーム. Tutto Wormhole l’ho composto direttamente nelle drum machine che poi ho registrato. Tutto tranne proprio Koala Joke, che invece ho scritto direttamente all’interno della DAW, la quale offre prima di tutto il vantaggio di poter scrivere melodie di più largo respiro rispetto ai limiti imposti dalle drum machine. Quindi si, effettivamente la connessione tra l’ultimo brano di Wormhole e tutto Huti ゲームesiste, e sta nel processo di scrittura e nei mezzi utilizzati.”
Huti, prodotto da Artetetra nel 2025, consta di 11 pezzi brevi (tutti intorno ai due minuti), in sembra essere sotteso un modus operandi di scrittura frammentario o di citazione per futuri pezzi dalle sonorità simili. Il suono ha una forma meno grown-up, ma più ludica rimandando al sound dei dischi di Artetetra. Come avviene l’idea di produrre questo disco?
“Ho sempre ricercato l’essenzialità della forma nelle mie composizioni, ma probabilmente questa essenzialità ha raggiunto il suo apice con Huti ゲーム.
Sulla carta l’album doveva inizialmente essere una piccola pubblicazione di due o tre brani, che aveva la funzione di anticipare una successiva uscita di un LP sempre per Artetetra. Quindi le richieste di Matteo e Luigi erano di scrivere questi pochi brani per poter iniziare a costruire un ponte che avrebbe traghettato ad un album più lungo e articolato, che peraltro dovrebbe uscire tra qualche mese. Diciamo che mi sono fatto prendere la mano, sfruttando un periodo di creatività molto viva. Il minutaggio finale è quello di un EP, mentre il numero di tracce eccede lo standard… ma tanto ormai abbiamo capito che gli standard non ci piacciono.
“Come per i precedenti album, anche in questo ho proseguito il viaggio di Nicolas Gaunin. Questa volta mi sono lasciato suggestionare dal viaggio dell’eroe tratto da “L’eroe dai mille volti” di Joseph Campbell, chiaramente semplificandone lo schema narrativo. Huti ゲーム nasce come colonna sonora di un videogame immaginario, un’avventura epica che vede l’eroe Rokoreke Taribaku – alter ego di Nicolas Gaunin (e, di conseguenza, anche mio) – affrontare la sua nemesi, un gigantesco Serpente che intrappola le anime delle creature che inghiotte nella terra di Huti. ゲーム è infatti una parola scritta in katakana (uno dei tre sistemi di scrittura giapponese), che si legge “gēmu” e significa “gioco” o “game” (presa dall’inglese). La narrazione musicale segue quindi il viaggio dell’eroe nel tentativo di sconfiggere questa nemesi, con ogni traccia che rappresenta un frammento di questo universo fantastico. Ho scelto il serpente perché è il simbolo di distruzione e rinascita, cioè riflette i cicli interiori che vivo come artista: la musica diventa quindi la metafora del mio rinnovamento. Sono orgoglioso di come alla fine da una semplice richiesta di due o tre brani, ne sia venuto fuori Huti ゲーム. Questo EP è più di una semplice colonna sonora immaginaria: è un’esperienza sonora immersiva, che racconta una storia poetica di liberazione, tra antichi miti e mondi futuri.”

Cover di Huti ゲーム. Artwork di Nadia Pillon.
L’album Huti presenta, nella struttura di scrittura, un’impostazione orchestrale, che si manifesta soprattutto nei pezzi Up & Down, legata a timbriche arcate derivate da sample, e The Goddess, in compaiono elementi vocali a cappella. Tale caratteristica conferisce una certa liricità alla tracklist, in cui un suono lucente incontra una eleganza storicizzata. Da quali studi o educazione, anche legata all’attitudine, deriva questo percorso?
“Ricollegandomi a quanto dicevo prima, la forma dei brani contenuti in Huti ゲームè quasi sempre essenziale, bozzettistica, molto scolastica se vogliamo. Spesso presento un’idea, che possiamo chiamare A, a cui segue una contro-idea che chiamiamo B, per chiudere tornando a casa da A con qualche piccola modifica. In un certo senso tale struttura rispecchia lo schema del viaggio dell’eroe, il quale parte, affronta un viaggio pieno di insidie, per poi ritornare nel suo mondo ordinario trasformato. L’economia nella forma è poi spesso controbilanciata da una texture particolarmente ricca di elementi sovrapposti tra loro. L’incontro tra minimalismo e saturazionismo per me trova un equilibrio nelle composizioni di Huti ゲーム.
“In questa produzione ho voluto rinnovare la mia tavolozza di colori, inserendo elementi di novità come archi e voci sintetiche. Entrambi avevano principalmente la funzione di aumentare il lirismo delle mie composizioni. Il suono degli archi ha un qualcosa di struggente, di ancestrale, di profondamente romantico, e l’ho sempre amato. Siccome stavo producendo un album che voleva essere una finta colonna sonora, ho pensato che l’arco è lo strumento per antonomasia per tale categoria musicale. Inizialmente non ero sicuro del risultato che ne sarebbe uscito dall’incontro tra archi, voci sintetiche e percussioni; ma dopo le prime sperimentazioni mi accorsi del potenziale e decisi che doveva essere il filo conduttore dell’intero EP.
Se devo pensare a dei collegamenti tra Huti ゲームe i miei studi musicali, potrei citare moltissimi autori che si susseguono nei secoli della musica occidentale e non. Nelle avanguardie del Novecento sono state sperimentate molte tecniche estese su strumenti ad arco, così come la mescolanza ensemble e di timbri non convenzionali. Non ho assolutamente la pretesa di pormi allo stesso livello di illustri compositori di cui – per rispetto – non faccio nemmeno il nome; posso semmai tentare un punto di connessione con la loro ricerca timbrica nella musica.”
Risonanze afro vengono spesso rievocate come leitmotiv principale, insieme ad influenze techno/jungle, in particolare nella ben incalzante Snake Digestion. Un approccio eterodosso in tal senso non manca, e assume connotati progressivi, in un’ottica legata ad un suono urbano con l’intento di sperimentare ludicamente. Come avviene questo carattere personale intrinseco ad un’istanza preesistente?
“Cercare di elaborare un linguaggio personale e originale, rifacendomi a modelli già esistenti, per me rappresenta un mantra. Anche per questo non mi piacciono troppo i paragoni con altri artisti. Nella mia personalissima visione, il panorama musicale dovrebbe essere quanto più plurale e sperimentatore possibile, capace così di arricchire di stimoli l’ascoltatore; invece noto come esso sia sempre più dominato da un generale appiattimento delle proposte, che tendono a convergere verso forme ben codificate da cliché e stereotipie. Detto ciò, non ambisco a una musica aliena, bensì profondamente umana; è necessario lasciare all’ascoltatore degli appigli ai quali aggrapparsi, mantenere una filologia capace di conferire senso a un linguaggio, che però mi aspetterei che fosse in continua metamorfosi, un crocevia di stili, di prove ed errori, di un vocabolario noto mescolato a neologismi.
“A me piace il ritmo, mi scorre dentro; il primo strumento musicale che ho toccato e suonato da bambino è un tamburo. La musica più ancestrale è ritmo. Il ritmo travalica le epoche e definisce un linguaggio universale. Il ritmo è movimento e rappresenta bene il concetto di vita e vitalità che voglio promuovere attraverso la mia musica. I numerosi ascolti delle testimonianze sonore etnografiche realizzate sul campo da Alan Lomax, dei field recordings di musiche tribali tradizionali pubblicati da Sublime Frequencies, ma anche delle produzioni contemporanee pubblicate da Nyege Nyege Tapes, sono per me fonti inesauribili di stupore e di fascinazione. Questo probabilmente basta a spiegare le risonanze afro di cui parli. Tuttavia, nel mio percorso assorbo e rielaboro numerose altre influenze musicali, provenienti dai contesti più diversi, che contribuiscono a rendere le mie composizioni ancora più ibride e personali. Quando mi siedo per comporre musica nuova, sto molto attento a non ripetere qualcosa che è già stato detto perché, appunto, l’originalità e la personalità per me sono valori sacri che vanno tutelati e valorizzati, soprattutto se calati in un contesto che invece premia l’omologazione e disincentiva l’originalità. Dico questo con lucidità e senza rancore.”