Molto spesso diversi mondi possono convergere in uno solo, in cui “la totalità è più grande della somma delle sue parti”, parafrasando uno dei motti principali della Gestalt. Non a caso l’indirizzo psicologico gestaltiano veniva allo stesso tempo ripreso per la poca esattezza scientifica, in quanto dava, per esempio, un carattere poco razionalista alle percezioni umane. Questo aspetto appare in contrasto con quello che emerge nell’arte di Vera Di Lecce, artista originaria del Salento nonché figlia d’arte, in cui l’apparente irrazionalità dei sogni sono caratterizzati da un’intelligenza viva e vitale.
Dopo un primo album più cantautorale e fuori dagli schemi – 29 Seconds, per la Eclectic e del 2015 – pubblica nel 2022, per Manimal Vinyl e Niafunken, Altar of Love, il suo disco finora più espressionistico con un tema onirico. In ogni traccia viene descritto un combattimento tra l’artista e un demone diverso, ispirata dai suoi stessi sogni. L’aspetto pop o cantautorale si mescola con quello più pop ed elettronico, generando un effetto consonante ma plastico, molto micro-granulare e barocco in senso sintetico.
Leggiamo la testimonianza di Vera riguardo gli inizi, le ultime produzioni e prossime novità.
Vera, cominciamo a parlare delle intenzioni. Vieni da una famiglia di artisti con cui sei entrata in contatto con un mondo cosmopolita. Nella tua arte, che per l’appunto abbraccia più culture, vedo molta originalità insieme ad una commistione organica del tutto. Mi chiedevo qual è o è stata la tua percezione di quel contesto, ovvero l’arte di ricerca immersa nella provincia leccese, e quali sono stati gli elementi portanti che hanno generato la tua musica che appare molto curata, tra pop e sperimentazione.
Devo dire che ho vissuto tutto in maniera molto naturale, da piccola giocavo con i figli degli artisti con cui i miei collaboravano senza parlare la stessa lingua. Ci intendevamo con i gesti, le espressioni facciali, l’energia, il gioco. Sperimentavamo con gli strumenti e i costumi che i nostri genitori usavano per gli spettacoli, guardavamo e ascoltavamo le loro prove e quelle di altri musicisti e danzatori con curiosità. Spesso partecipavo anche alle performances sia teatrali che tradizionali dei miei. Era un universo cosmopolita, magico eppure estremamente reale. Mi sento fortunata, e spero che il mondo evolva in questa direzione, nell’incontro, lo scambio, la condivisione. Porto questo concetto nella mia musica e nella mia produzione, nei miei testi, perché sento di voler comunicare la mia esperienza con il maggior numero di persone possibile, da qui la scelta di melodie accessibili e riconducibili al pop, la sperimentazione, la riduzione al minimo dei confini, l’accoglienza dell’altro.
Altar of Love è un lavoro in cui micro-suoni si fondono con suoni più distesamente barocco, con tracce di afrofuturismo, estetica giapponese e sonorità salentine per certi versi. L’album secondo altre testimonianze è un concept su demoni che combatti quotidianamente. Ma come nasce quindi questo suono diversificato e compattamente denso? Parlaci dell’origine di questa sinossi o soggetto musicale.
Mi ha sempre stimolato la ricerca di ascolti diversificati, dal jazz alla world music, dall’elettronica alla musica tradizionale sia salentina che proveniente da altre parti del mondo, Africa, Oriente, Mediterraneo, America, Nord Europa, fino ad arrivare al pop e all’indie. Ho interiorizzato diverse sonorità, spesso opposte, e ho provato a mescolarle si dal primo momento in cui ho intrapreso il percorso solista. Anche a livello concettuale sono presenti la maggior parte delle mie esperienze personali più significative, alla ricerca di domande e risposte sia per me che per i miei ascoltatori. Il mio progetto nasce quindi dall’incontro tra le due dimensioni, musicale e intima, che formano artisticamente la mia persona. Non riesco bene ancora a definire il mio genere, so che si tratta di ricerca e sperimentazione, continua, in costante evoluzione.
Spesso il tuo cantato è basato su uno scatting complessamente ritmico, abbinato ad una ricerca sulla profondità della voce da contralto. Shellbone segue questa formula, in cui si alternano quelle due polarità descritte, offrendo un brano a doppia faccia. Il demone in questione potrebbe rappresentare desideri personali e/o irrealizzabili. Confermi queste parole? Come nasce la suddetta combinazione di elementi sonori?
Il Demone in questione è una volpe giapponese “Kitsune” che ho incontrato in sogno e che rappresenta la Paura. Durante la nostra conversazione mi sfida a lasciar andare tutte le mie paure promettendo di trasformare le mie ossa in ossa magiche estremamente potenti, ossa di conchiglia. Nelle antiche leggende giapponesi le Kitsune venivano rappresentate come esseri intelligenti e in possesso di abilità paranormali tra cui la capacità di mutare in forma umana. Lo “scatting” a cui ti riferisci rappresenta spesso la melodia incantatrice che il Demone canta o suona per avvicinarmi e dalla quale poi nasce il confronto, che si dipana nel tessuto della mia voce ora limpida ora distorta, in ogni strofa.
Il brano Altar of Love, secondo la tua testimonianza, è un combattimento con tutti i tuoi demoni, ciascuno dei quali si avvicenda in uno dei precedenti pezzi, attraverso un semplice atto d’amore liberatorio. Il pezzo ha due parti più ordinate ed empatiche negli estremi, con in mezzo una più caotica e sospesa. Parlaci dell’aspetto metaforico del brano, su come avviene questo contrasto psicologico tra “bene e male” che può riferirsi alle emozioni di ciascuno di noi.
Esatto, nel brano Altar of Love parlo dell’incontro finale con i miei Demoni. Stremata, arrivo alla consapevolezza che nessuna battaglia potrà sconfiggerli e all’inizio del brano libero con gioia ogni tensione. La parte centrale, con il solo di chitarra (con archetto elettronico ”e-bow”) è il momento in cui ci guardiamo negli occhi e ci prendiamo per mano, iniziamo a danzare, cantare e suonare intorno ad un Altare d’Amore. A quel punto raggiungo una serenità interiore che esprimo nell’ultimo cantato come forma di gratitudine.
Il riadattamento di Heart and Soul da Closer dei Joy Division è basato su pulsazioni groovose elettroniche e un cantato dalle inclinazioni più blueseggianti e vibranti, che rende il tutto al contempo innovativo e classico. Si va su diverse direzioni, sospendendo il tutto; la creatività lascia il primo piano agli autori, probabilmente come gesto di riconoscenza per gli ascolti adolescenziali. Come nasce l’idea della reinterpretazione di un pezzo dei Joy Division e come nasce questa opposizione di elementi?
Ho sempre amato i Joy Division e come da tua intuizione, fanno parte degli ascolti della mia adolescenza tra new wave, post punk, elettronica, jazz e musica sperimentale di ogni genere. L’idea di una cover nasce dalla mia etichetta americana Manimal Vinyl: insieme abbiamo scelto questa band, significativa per entrambi, e in particolare ricordo che al primo ascolto di Closer mi colpì questo pezzo. Ho deciso di mantenere gli stessi bpm dell’originale arricchendo l’arrangiamento con i miei suoni, sia vocali che sintetici (synth e drum machine) e le mie chitarre a sostituire gli elementi mancanti. E’ stata una sfida, ma molto divertente. Per quanto riguarda la voce ho scelto una linea morbida, che entrasse in contrasto con gli “spigoli” di glitches e ritmo ossessivo, come fosse un’onda che percorre l’arrangiamento in sospensione, per trovare una “liberazione” nella cascata finale di chitarre.
In conclusione parlaci delle prossime novità a livello di concerti e se stai raccogliendo già le idee per il prossimo album.
Si è appena concluso un tour tra Italia ed Europa avvenuto grazie al supporto di Puglia Sounds. E’ stato molto emozionante. Ho portato la mia musica in Francia, Germania, Repubblica Ceca e Albania e la risposta è stata più che positiva. Per l’Italia ho viaggiato con due ospiti, Carlo Martinelli alla chitarra noise e Anton Sconosciuto alla batteria, che hanno amplificato sia a livello scenico che musicale il rituale che porto sul palco. Al momento sto lavorando ad un nuovo singolo che uscirà in autunno e contemporaneamente sto scrivendo le musiche dello spettacolo di danza contemporanea “Stuporosa”, che ha come soggetto il pianto rituale e che debutterà a settembre. Sono in un momento di ascolto interiore, che alimenta il processo di scrittura del prossimo album. Vedremo a cosa porterà questa volta.