BATTLES, RUMORE DAI COLORI SATURATI
di Giovanni Panetta
Discorso su Juice B Crypts
Juice B Crypts, Battles

Cover di Juice B Crypts (2019).

In un breve lasso di tempo è volato l’annuncio del loro nuovo album, e il 16 Ottobre scorso è uscito Juice B Crypts dei Battles per la Warp. Ancora una volta la casa discografica promotrice di musica elettronica si fa portavoce di un sound danzereccio e cerebrante e che un tempo sarebbe dovuto alla creatività di quel supergruppo formato da quattro grandi noiser di inizio nuovo millennio: Tyondai Braxton (figlio del celebre sassofonista Anthony), Dave Konopka, John Stanier (ex-Helmet) e Ian Williams (ex-Don Caballero); e che attualmente si è ridotto agli ultimi due citati dopo la dipartita di Konopka, che ha spiazzato il resto della band, in quanto il bassista dal punto di vista compositivo dava il suo prezioso contributo. Il risultato? Nonostante i nuovi pezzi dal vivo appaiono sì interessanti melodicamente e ritmicamente, ma il suono si sente scarno, Juice B Crypts è un arcobaleno multiplo di batteria di Stanier e loop di chitarre e tastiera di Williams. Per la precisione, secondo un paragone immaginifico ma più diretto, un cubo di Rubik dalle tonalità saturate in movimento frenetico. Diverse le collaborazioni, tra cui Sal Principato dei Liquid Liquid (gruppo funk-punk dei primi anni ’80 della New York post-no wave) in Titanium 2 Step, pezzo più scuoti-bacino nonché prima anteprima di questa ultima fatica, uscita ad Agosto.
La hit è senza dubbio Fort Greene Park, dalle melodie più accessibili rispetto gli altri pezzi, ma tutto l’album è caratterizzato da uno stile ricorrente forse più dei precedenti album: un suono di fatto futuristico, con un senso della melodia più etereo, e dissonanze e disarmonie più catchy. I pezzi sembrano essere sconclusionati ma in realtà sono nuove forme della musica tutte da scoprire. Nonostante alla band non piace il termine math rock, qui si sente un groove in quel senso molto interessante, e anche più progressivo rispetto gli standard. Un disco che unisce rock (con un’accezione più generale possibile) e elettronica, ma anche con tanta presenza di soul e funk; loop digitali ma anche suoni analogici, anche se sembra letteralmente come osservare un linguaggio di programmazione di hardwere di un computer. Fino ad adesso il disco più acido e patinato (ma in senso positivo) della discografia dei Battles, ma ancora stavolta loro non si smentiscono.

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