Kyoto, groove coinvolgenti e psichedelìa tribale
di Giovanni Panetta
Intervista a Roberta Russo (Kyoto) e Toto Ronzulli (Truemantic) sul EP di Kyoto, nonché suo esordio, Limes Limen, tra trame lisergiche e ritmi complessi ed emotivi.
Limes Limen

Limes Limen di Kyoto, con foto copertina di Antonello Pellegrino, progetto grafico ad opera di Giovanni Russo (Pallido Fango), in cui figura come stylist lo studio di abbigliamento Aendör Studio.

Roberta Russo, in arte Kyoto, è un’artista di stanza a Bari che contempla nella sua musica più stili, dall’elettronica allo spoken word, passando per utilizzo di groove coinvolgenti. La forza della sua arte è sicuramente l’esperienza dei live, in cui si viene coinvolti da mantra psichedelici, attraverso trame lisergiche e ritmi complessi ma emotivamente elaborati. Nel suo esordio Limes Limen, un EP del 2024 per la Garden Of J, in cui è fondamentale il contributo di Truemantic (Toto Ronzulli), si vive maggiormente della sua forza emozionale tra ritmo e psichedelìa tribale, ma anche del suo impatto autentico attraverso i testi, in cui spiccano brani come Buco, che appare come energia passionale pura, un pezzo che denota il lato della scrittura di Roberta più nascosto, i cui sussurri intimisti sembrano simboleggiare un misticismo inconscio e profondo.

In Limes Limen Kyoto si è occupata di voci, armonie vocali, elettronica e arrangiamenti, mentre Truemantic della produzione, arrangiamento, elettronica, sintetizzatori e del mixaggio; hanno inoltre collaborato: Michele Ciccimarra (percussioni in Mishima e Sangue), Giacomo Sorressa (santur in Mishima), Antonio Stramaglia (flauto traverso, flauto dolce in Sangue), Giuditta Giuliano (parole in Sangue), Stefano Florian (parole in Frontiera e Mishima) e Filippo Passamonti (master).

Parleremo più approfonditamente di Limes Limen e altri aspetti nella seguente intervista che abbiamo rivolto a Roberta/Kyoto e Toto/Truemantic.

Parlaci di come è iniziato il tuo percorso artistico e di come sei arrivata a questo suono tribale e che spesso lascia spazio a trame lisergiche e dissonanti in senso urbano.

Kyoto: “Il mio viaggio musicale è iniziato in tenera età, quando ho scoperto la mia passione per la composizione e il suono. Crescere tra Monza e Bari ha avuto un grande impatto su di me: queste due città, con le loro culture e atmosfere uniche, mi hanno insegnato a vedere la musica come un linguaggio universale. Inizialmente, ho iniziato a suonare la batteria, uno strumento che ho sempre considerato fondamentale per la mia espressione. La batteria mi ha permesso di esplorare il ritmo in modo intimo e personale, e ho iniziato a comporre brani che univano la vitalità delle percussioni a melodie evocative.

“Con il tempo, ho sentito la necessità di creare un suono che andasse oltre i confini tradizionali, unendo elementi tribali con sonorità più contemporanee. Questo desiderio ha dato vita a un’esperienza sonora che riflette non solo la mia storia personale, ma anche le dinamiche della società moderna, in cui spesso ci si sente disconnessi e in cerca di una propria identità.”

Prima dell’esordio discografico trova spazio un suono più dinamico, incentrato sulla manualità che si dedica soprattutto alle percussioni in maniera più minimale ma vitale, in cui i due aspetti si compensano equamente. Un aspetto che emerge nelle esibizioni live, contrassegnate da un groove complesso, dinamico e coinvolgente. Vuoi permettere al pubblico di fruire della tua musica in combinazione a possibili movimenti che derivano dall’ascolto della base ritmica, per esempio?

Kyoto: “Fin dall’inizio, ho dedicato molto tempo alla ricerca di groove che fossero non solo tecnici, ma anche emotivi e coinvolgenti. L’aspetto ritmico della mia musica è diventato centrale, poiché voglio che ogni performance dal vivo crei un legame profondo con il pubblico. Durante le mie esibizioni, cerco sempre di osservare le reazioni delle persone: vedere qualcuno muoversi in sintonia con il ritmo è per me una delle soddisfazioni più grandi. Volevo che la mia musica non fosse solo da ascoltare, ma anche da vivere.

“Questa idea di movimento si riflette in ogni brano che suono: la ritmica diventa un invito a lasciarsi trasportare, a danzare, a liberarsi. Credo che la musica abbia il potere di unire le persone, di creare momenti di connessione, e mi impegno a trasformare ogni concerto in un’esperienza unica e memorabile.”

Nel corso del tempo Kyoto si estende a duo, coinvolgendo Truemantic, la cui carriera in solo è stata contrassegnata da suoni post-punk più quadrati, sebbene compaiano nel suo esordio omonimo del 2018 (uscito per Seahorse Recordings) intuizioni originali in maniera abbastanza ricorrente, le quali sono percepibili nella collaborazione insieme a te, Roberta, con un approccio più istintivo e meditato allo stesso tempo. Parlaci di come nasce l’idea di aggiungere Toto come elemento aggiuntivo al progetto e creare un sound più corale in tal senso.

Kyoto: “La decisione di collaborare con Toto Ronzulli, noto come Truemantic, è stata un passo cruciale nel mio percorso. La sua esperienza nel panorama musicale, in particolare nel post-punk, ha portato una nuova dimensione al mio lavoro. La sua abilità nel mescolare sonorità diverse si è rivelata perfetta per il progetto Kyoto, dove abbiamo potuto unire le nostre visioni artistiche in modo naturale e fluido.”

Truemantic: “Lavorare insieme è stato un processo di esplorazione reciproca: ci siamo ispirati a vicenda, creando un sound che è sia corale che intimo. La combinazione delle nostre esperienze ha reso ogni pezzo un riflesso delle nostre storie e delle nostre culture, permettendo a Kyoto di evolvere in un progetto ricco e variegato. La nostra collaborazione ha anche aperto la porta a nuove possibilità sonore, permettendoci di spingerci oltre i confini tradizionali.”

Limes Limen è l’esordio in forma di EP uscito per Garden of J in digitale. Disco influenzato da ambient, techno e post-punk, spoken-word come struttura del cantato e testi spontanei (qui con i contributi di Giuditta Giuliano e Stefano Florian). Il disco realizza l’idea di amalgamare hip hop ed elettronica frequente negli ultimi anni ma in maniera personale, in cui la scrittura della musica è metodica e ragionata nel vincolo della propria emotività. Parlaci del processo creativo che ha caratterizzato la produzione citata.

Kyoto: “Il mio EP Limes Limen rappresenta un lavoro di tre anni, durante i quali ho voluto riflettere profondamente sul concetto di “limite” in tutte le sue forme. Il termine latino “limes” evoca immagini di confini e frontiere, non solo fisiche ma anche culturali e personali. Durante la scrittura di questo progetto, mi sono concentrata su come questi limiti possano essere sia esclusivi che inclusivi. In un mondo in cui le divisioni sembrano sempre più marcate, ho cercato di esplorare la possibilità di creare ponti attraverso la musica.

“Ogni brano di Limes Limen è nato da un processo creativo che ha coinvolto melodie vocali e pattern ritmici inizialmente disordinati. Collaborando con Truemantic, abbiamo lavorato per dare struttura e coesione a queste idee. La fusione di elettronica, beatbox e strumenti tradizionali pugliesi, come i tamburi a cornice, ha reso ogni traccia unica, creando un ambiente sonoro che invita all’ascolto e alla riflessione.”

Come vagamente accennato, nella maggior parte dei pezzi si sente l’influsso di certo post-punk lisergico (dal mio punto di vista in primis i Dead Can Dance), unito come già ribadito ad un senso moderno dell’elettronica. Il pezzo Frontiera realizza al meglio questa idea, con un approccio efficacemente groovoso e marcato, un personalissimo e spontaneo richiamo al fenomeno dell’immigrazione, con una contemplazione propriamente disincantata. Parlaci degli effettivi influssi sonori e dell’associato sentimento di disillusione nel pezzo.

Kyoto: “Nel brano Frontiera, ho cercato di affrontare temi complessi come l’immigrazione attraverso un linguaggio musicale ricco e stratificato. Le sonorità post-punk si mescolano con un’elettronica evocativa, creando un’atmosfera che riflette le tensioni del nostro tempo. La mia ispirazione deriva in parte da artisti come i Dead Can Dance, noti per la loro capacità di evocare emozioni forti e di creare paesaggi sonori densi e suggestivi.

“In Frontiera, ho voluto catturare un sentimento di disillusione, ma anche di speranza. La musica diventa un veicolo per esplorare queste esperienze e per dare voce a chi spesso viene ignorato. La contemplazione disincantata del fenomeno migratorio è tradotta in un sound che è al contempo groovoso e riflessivo, invitando l’ascoltatore a confrontarsi con temi complessi e a trovare un senso di connessione attraverso la musica.”

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