Barabba, trio nato da tre quarti degli jesini Butcher Mind Collapse (i cui membri provengono a loro volta da altre realtà indipendenti tra loro legate, come Jesus Franco & The Drogas, Lebowski, Guinea Pig, etc…), ovvero Jonathan Iencinella (voce e testi), Riccardo Franconi (synth e programmazioni) e Nicola Amici (programmazioni), pubblica il 14 Gennaio 2022 l’esordio Primo Tempo, un’autoproduzione. Il gruppo, a partire dalla prima testimonianza del Dicembre 2020, ovvero il singolo Bianco Natale, si esprime con timbri sintetici (oltre voce, sassofono e chitarra) che delineano forme di ispirazione downtempo associate ad elementi più propriamente hip hop, in cui il background rumorista quasi astratto, riferendoci in particolar modo alla produzione di Butcher Mind Collapse, viene levigato producendo nuove sonorità più acide, ridefinendo la loro poetica e allo stesso tempo mantenendo strutture musicali che rimangono, in riferimento alla loro creatività diversificata in quei dettagli, un valore aggiunto. Infatti Un Altro gioca su questo aspetto, e dal punto di vista della sua scrittura essa risulta centrifuga richiamando più propriamente la forma di un frattale, attraverso un sound rumoristico smussato dando vita a decorazioni barocche e acide.
In Primo Tempo Barabba si avvale della collaborazione di diversi artisti, tra cui: Paco Sangrado ed Serena Abrami (entrambi alla voce in Bastare A Me Stesso), Tommaso Uncini (Sax Baritono in Momo), Caterina Trucchia dei Kmfrommylls (voce in L’Ultima Mano), Giovanni Succi dei Bachi Da Pietra (voce in Quei Due) e Marco Drago (che ha dato il suo contributo al testo di Quei Due).
Di seguito l’intervista a Barabba riguardo la loro produzione, in cui è incluso un track-by-track di Primo Tempo.
Cominciamo dall’inizio; come nasce il progetto Barabba e la sua elettronica gelida nel suono sintetico ma calda nel beat statico e allo stesso tempo complesso?
“Il progetto Barabba nasce dalle ceneri dei Butcher Mind Collapse, noise band con cui abbiamo condiviso dischi, palchi e sale prove dal 2004 al 2013: tre dei quattro membri di quella formazione sono confluiti in questa. Ciò che ci ha mosso è stata la comune volontà di confrontarci con l’elettronica, la lingua italiana e gli ascolti accumulatisi negli ultimi anni, che da quel background rock si sono ampliati alle varie declinazioni dei generi cosiddetti “urban”, come rap, r&b, trip hop, fino alla trap. Poi l’incontro tra questi linguaggi che abbiamo assimilato più di recente e la nostra estrazione alt-rock ha fatto il resto, nel senso che il bagaglio musicale con cui siamo cresciuti, che va dai Doors, al post punk /new wave, fino alla musica indipendente di fine ‘90/inizio millennio, non può ovviamente non influire, creando così una sorta di sensibilità ibrida che guida la nostra ispirazione.
Il vostro disco di esordio Primo Tempo è un autoproduzione pubblicata il 14 Gennaio di quest’anno (2022). Seguirà un track-by-track dell’uscita citata. Uscito inizialmente come singolo sulle piattaforme digitali (Spotify, Youtube, Bandcamp) ad inizio Aprile 2021, Un Altro ha una struttura attraente nel ritmo minimale dalle forme sinusoidali e essenziali, e con tonalità oscure. La voce e il testo di Jonathan esprimono un disincanto grottesco, ironico e decadente allo stesso tempo, elementi che sono suggeriti dall’andamento robotico, e che simulano una condizione di automatismo del protagonista immerso nel suo quotidiano. È infatti la ripetitività dell’essere di Barabba che emerge nella musica meccanica e glaciale, ma spesso dinamica, infondendo un dimenarsi al di sotto di un’imposizione di equilibrio. Potresti raccontare excursus e la filosofia dietro Un Altro?
“Il tema è quello archetipico del desiderio di essere una persona diversa da quella che si è. Guardarsi con gli occhi di qualcun altro rispecchia l’esigenza di conoscere se stessi fino in fondo, vedere la propria vita da fuori può farcene apprezzare meglio alcuni aspetti o metterne in luce le ombre, chiarircene dinamiche e automatismi. E se addirittura potessimo assistere “in incognito” al nostro funerale? Chi piangerà? Chi riderà? Chi non verrà? Quante cose potremmo scoprire su noi stessi e sulla nostra vita se fossimo qualcun altro. Ma è un desiderio destinato a rimanere irrealizzato, così la parte finale del testo, che cita versi del poeta francese Paul Eluard, è una specie di esortazione ad accettare e a portare con “regalità” questa quota di insondabilità verso noi stessi: figli del nulla sì, ma come si è figli di un re.”
Bastare A Me Stesso, disponibile digitalmente dal 23 Settembre 2021, è più tradizionale e nelle linee melodiche e nei pattern ritmici, permeata comunque da una sinteticità libera. Il testo, incentrato su una relazione infranta, si adatta perfettamente alla musica, realizzando un pezzo pop riuscito nella sua essenza. Qual è la genesi di questo pezzo e come si colloca nella vostra poetica?
“È un brano a cui abbiamo lavorato molto e ci teniamo particolarmente, forse perché in quel processo di assimilazione dei linguaggi urban, questo lo sentiamo come il punto di massimo avvicinamento finora. L’idea era appunto quella di innestare un approccio melodico pop su una struttura più libera, rimanendo comunque dentro la forma canzone, almeno apparentemente. Durata e melodicità sono decisamente pop, ma sotto la superficie la musica scorre fluida, senza schemi prestabiliti, senza una vera e propria alternanza di strofa e ritornello a scandire le fasi, mentre il testo, pur essendo cantato nel vero senso della parola, è in realtà un flusso di coscienza senza soluzione di continuità. Il tema è sì incentrato sulla fine di una relazione, ma più in generale sull’impossibilità di un reale contatto con l’altro, che rimane oggetto del desiderio solo finché è lontano e perde la propria attrattività nel momento stesso del contatto.”
Per quanto riguarda Momo, non pubblicata precedentemente, le sonorità si fanno oscure e centrifughe. Le atmosfere lisergiche, i ritmi complessi e periodici, in un certo senso tribali e le linee di sax baritono, all’inizio più astratte e di seguito in stile jazz/blues, di Tommaso Uncini, rimandano ad un esperimento originale che unisce diverse caratteristiche principali della musica sperimentale. Come nasce il pezzo e la sua eterodossia?
“Il protagonista di questo brano è in fuga perenne dai propri demoni, ma non riesce mai ad eluderli del tutto, perché non sono altro che parti di sé e in definitiva il demone da cui cerca di scappare è se stesso. L’ambientazione sonora doveva trasmettere l’inquietudine che pervade il protagonista mentre è intento a muoversi nell’ombra dissimulando la propria identità, e contemporaneamente annunciare l’inesorabilità e la drammaticità del fatidico incontro con un se stesso percepito come spaventoso; così è nato questo beat ipnotico e ondeggiante, farcito con quella linea sinistra di sax. Una specie di piccolo cortometraggio con la sua colonna sonora.”
L’Ultima Mano, che appare la prima volta nel vostro esordio, ha sfumature più notturne e rarefatte, con un andamento più lento nel ritmo, e ha una melodia più patinata. Essa delinea il pensiero del personaggio pessimistico di Barabba, o per lo meno vi è un allusione nel testo, associato ancora una volta ad una relazione interrotta. Come avviene la non-convenzionalità di questo pezzo?
“Tra i brani del disco, questo è quello in cui la stesura ha maggiormente tenuto conto della scrittura originale “chitarra&voce”, cercando di rispettare la canzone così com’era nata, con un approccio quasi cantautorale. Un sound più intimo rispetto al resto, che doveva evocare lo stato interiore della riflessione a cui il testo attinge. Questo la rende probabilmente la meno urban del lotto, ma andava fatta così. Anche qui il tema della relazione interrotta è preso a pretesto per esplorare più che altro gli effetti che le ferite emotive hanno su di noi, fino a definirci, sul lungo termine, come persone.”
Quei Due, altro pezzo inedito, è in collaborazione con Giovanni Succi (voce) e Marco Drago (il quale scrive il testo). La consistenza del suono è più riverberata e magmatica, e sono presenti anche linee graffianti di synth, simili ad una chitarra. Una sperimentalità interessante che arricchisce l’album e il vostro spazio, che non disdegna interessanti contributi. Come nasce questo lavoro collaborativo?
“È senz’altro l’episodio più rock, in senso lato, quello con il sound più fat. Nasce dalla nostra partecipazione al canale Patreon aperto da Giovanni in pieno lockdown. Cercava delle basi per musicare il testo di Marco Drago, gli abbiamo inviato due tracce e ha scelto questa. Ci abbiamo lavorato su e quando abbiamo ascoltato il risultato finale ci siamo detti che non avrebbe affatto stonato nel nostro disco, così quando Giovanni ha accettato la proposta di inserircelo ne siamo stati super felici, essendo suoi grandissimi estimatori fin dai primi dischi dei Bachi Da Pietra. In generale amiamo molto questo approccio partecipativo, tanto che nel disco ci sono diverse collaborazioni, Caterina Trucchia, Serena Abrami, Paco Sangrado, Tommaso Uncini. Se sentiamo che un brano ha bisogno di un colore non presente sulla tavolozza di cui disponiamo, non ci facciamo problemi ad accogliere le pennellate di altri pittori. E’ uno degli aspetti che abbiamo preso a prestito dalla cultura musicale urban. Barabba è un progetto, un personaggio che si muove in una sceneggiatura che può richiedere più interpreti e noi siamo prima sceneggiatori che interpreti.”
In Primo Tempo compare anche il vostro primo pezzo pubblicato come singolo, in data il 4 Dicembre 2020, ovvero Bianco Natale. In esso una certa rarefazione nel suono accompagna il testo dalla scrittura spontanea e decadente allo stesso tempo. Nel testo Barabba sceglie idoli di riferimento opposti, e allo stesso tempo conformi, alle festività natalizie, attraverso un intento ordinariamente ambiguo ma più lucido. Inoltre, Bianco Natale è legato ad un sound minimalista che nel corso della vostra carriera si è arricchito di nuovi elementi più lisergici e barocchi, maggiormente tendenti a sonorità grown-up. Parlateci, se volete, della genesi di questo pezzo.
“Bianco Natale è stato il brano che ci ha fatto dire “ok, questa è la strada” e il primo in cui musica e testo non sono stati composti insieme: prima è nata la base e poi ci è stato scritto sopra un testo ad hoc. E’ venuto tutto in maniera estremamente naturale e da lì in poi il percorso che avevamo intrapreso si è manifestato sempre più chiaramente, tanto da svilupparsi poi anche in direzioni più grown up, come dici tu. Ma non è un approccio che abbiamo abbandonato, anzi, tra le nuove tracce su cui stiamo lavorando ce ne sono diverse che presentano un approccio simile, molto minimale.”
Parlando delle tecniche utilizzate, frequenti sono le parti in loop, ma sembra che in alcuni punti vi siano linee sintetiche eseguite con un approccio più analogico-digitale (Bianco Natale ha linee più articolate verso il finale, mentre Un Altro sembra avere maggiormente un approccio automatico per quanto riguarda la parte strumentale). Vi andrebbe di parlare delle strumentazioni, mettendo un focus su come vi siete divisi i compiti?
“Nonostante l’approccio elettronico, la nostra lunga militanza analogica fa sì che per noi la scrittura e l’arrangiamento siano molto importanti, anche nell’ottica dell’esecuzione live, di conseguenza cerchiamo sempre di inserire parti strumentali che siano replicabili dal vivo con strumenti veri. La stesura dei pezzi però avviene principalmente in studio, dove a guidarci è soprattutto la resa finale del brano e ci interessa molto relativamente il concetto di “chi esegue cosa”, siamo tutti e tre in grado di metter mano a chitarre, tastiere e percussioni e se c’è da registrare una parte la fa semplicemente chi riesce ad eseguirla nel modo che più si addice al brano. A volte i pezzi nascono proprio analogicamente, voce e chitarra, da Jonathan, e successivamente Riccardo cerca di tradurli in elettronica. Altre volte invece si parte direttamente da una base di Riccardo su cui Jonathan scrive un testo ad hoc. In entrambe i casi, una volta che l’impianto di base ci convince, arrangiamo tutti e tre insieme, lavorando spesso anche da remoto. In fase di mix poi sono soprattutto Riccardo e Nicola a confezionare il prodotto finale. La divisione dei compiti è puramente pragmatica, non dà luogo a gerarchie, in ogni fase ognuno ha diritto di parola sull’operato degli altri e si passa allo step successivo solo quando c’è l’approvazione collettiva. Sotto questo aspetto siamo molto rodati e sappiamo che è un punto di forza. Per il live l’intenzione è quella di offrire uno spettacolo di musica “suonata”, non un playback, e a questo scopo non ci facciamo scrupoli a riadattare i brani se lo show lo richiede. Di base Riccardo gestisce elettronica e synth, Jonathan canta e suona alcune parti di percussioni e Nicola è l’uomo chiave che arricchisce la performance suonando ora la chitarra, ora i synth, ora il sax; poi sia Riccardo che Nicola hanno anche delle parti vocali.”
Primo Tempo utilizza uno sperimentalismo radicale e concettuale (nel mezzo) in una forma pop che rende quelle sonorità un arlecchinesco valore aggiunto. Suoni trip hop sono arricchite da un leitmotiv di sarcasmo e disincanto; ai barlumi di lucentezza dovuti all’approccio sintetico incombe l’ombra delle parole di Barabba e dagli altri disillusi personaggi dall’amore relazionale e familiare. La vostra musica assume una forma grottesca, meno seriosa rispetto l’elettronica downtempo in generale, creando una conflittualità in musica/parole tra volere e potere, nell’ottica di desideri precostituiti, in cui la società esistente fa la sua parte. In merito a quanto detto, in che relazione, all’interno dei testi di Primo Tempo e della vostra sensibilità, vedete il rapporto tra desideri suggeriti o imposti dall’esterno e quelli più viscerali e istintivi nell’individuo, o platonicamente giusti?
“Domandona da un milione di dollari! In generale il concetto di “giusto” non fa molto parte della nostra poetica, che sia un giusto platonico o di qualsiasi altra natura. Vorrebbe dire presupporre anche un concetto di “sbagliato” e invece qui l’unico ad essere sbagliato è proprio Barabba. I nostri testi non nascono da un sistema di pensiero strutturato in base al quale poter esprimere un giudizio di questo tipo. Noi ci limitiamo a mettere in scena i contrasti che Barabba vive, ma nessuno ci dice che quelli che lui avverte come suoi desideri profondi non siano in realtà anch’essi indotti dalla società, e comunque non è questo l’aspetto che i nostri testi vorrebbero mettere in luce. A noi interessa raccontare le tensioni interiori che la dimensione relazionale può innescare in ognuno di noi, senza per questo voler stabilire una scala di “purezza” di intenti.”
Parliamo di altri pezzi. La cover di Ragazzo Di Strada de I Corvi (originariamente de The Brogues, con il titolo I Ain’t No Miracle Worker, e scritta da Nancy Mantz e Annette Tucker) viene completamente trasfigurata in forma più acida nella vostra versione, corroborata da elementi sinteticamente progressivi. Il testo si conforma in maniera più tradizionale con la filosofia di Barabba, unendo rock ‘n’ roll storico con nuovi fermenti sperimentali. Come cade la scelta di questo pezzo e il suo artigianato creativo?
“Risposta sincera sincera: è una cover nata alle 4 di mattina in post sbronza. Si tratta di un brano che abbiamo ballato per anni, un must delle feste rock che hanno riempito le nostre serate e ci è piaciuto il contrasto tra la dimensione ballerina a cui lo avevamo sempre associato e l’andamento slow della nostra versione, che in qualche modo ne evidenzia un profondo carattere dark. Il testo calza a pennello su un personaggio come Barabba e così abbiamo deciso di inserirlo nel nostro repertorio. Non comparirà mai in un nostro disco, ma è una carta che ci giocheremo dal vivo.”
Il 3 Giugno 2021 è stato pubblicato il remix di Un Altro realizzato da Above The Tree (Marco Bernacchia, già in MAZCA), pubblicato su Threesome Remix N*1. Il pezzo è un esperimento peculiare, in cui viene estratta e utilizzata la traccia vocale, arricchendo quel sottofondo di rumori astratti, creando una musica in sospensione, con sprazzi i potenza sonora, e con sfumature eteree. Come nasce l’idea di far rimodellare questo vostro pezzo ad Above The Tree.
“Marco è un amico e un compagno d’avventura della prima ora, il suo percorso e il nostro si sono incrociati più volte per i motivi più disparati ed è un artista che amiamo e stimiamo. L’idea di remixare il pezzo è partita da lui e noi non potevamo che dargli carta bianca. Ne è uscita una versione quasi “liturgica”.”
Per concludere, sono previste in seguito nuove vostre date o qualche piccola tournée, sotto il vincolo delle necessarie norme anti-COVID?
“Ci stiamo lavorando. Parlare di tournée per un progetto indipendente che ha appena esordito in questo momento storico suona quasi ridicolo, vista la situazione disperata in cui versa da qualche anno la rete degli spazi destinati alla musica dal vivo, da ben prima del COVID. Ma per chi è cresciuto a pane e palchi come noi, fare un disco significa creare i presupposti per poi poter caricare gli strumenti sul furgone e partire e noi ce la metteremo tutta per cercare di portare in scena il nostro Barabba ovunque sussistano le condizioni per farlo.”