
Cover di Nightcap realizzata da Matteo Bellomo.
{scope} è un trio costituito da Laura Agnusdei (sassofono tenore e baritono, kazoo, synth, sampler), Matteo Pennesi (synth, piano) e Luca Sguera (piano preparato, percussioni, synth). Come riportammo in questa intervista del 2022 a Laura e Leonardo Pucci (Pulsar), il trio si forma per l’occasione di una esibizione agli Holydays Festival del 2021 (ovvero una rassegna musicale che si svolge annualmente a Scopoli, in zona di Foligno (PG)), e in quell’occasione registrano il loro primo album, ovvero AWeekForMonday per Via Industriae, munito di booklet con disegni di Giacomo Infantino e Francesca Ruberto; un disco è dalla forte valenza espressiva, ma ancora non si vede una orchestrazione dei suoni perfettamente coesa. Con il successivo Nightcap del 2024, per l’etichetta trentina Kohlhaas, un fuoco ammagliante, e che pone un sapiente equilibrio, alberga nei tre musicisti, in cui collaborano Matteo Bellomo e Stefania Zanetti agli artwork e Francesco Piro alla produzione nonché nell’aggiunta di parti vocali, di synth e di percussioni. Il suono di Nightcap ricopre metaforicamente il ruolo di un giocoliere, in cui il sapiente dosaggio di suoni glitchati rotondi, linee di synth ludiche, e giochi tattili più complessi realizzati con attriti analogici sembrano guardare ad una creatività che cammina vicino al nostro tempo a passo celere, in cui si possono scorgere analogie (in forma più concettuale) a certi barocchismi in forma eterodossa e onirica di Igor Stravinskij, Les Baxter e Charles Mingus.
Parliamo si seguito più approfonditamente con gli {scope} riguardo il processo creativo di Nightcap.
L’offerta di {scope} è caratterizzata da sonorità free jazz, ambient, noise e ovviamente elettroniche, in una forma rinnovata e in parte innovatrice. Parlateci di come nasce il progetto e quali sono le intenzioni.
“Ciao Giovanni, il progetto nasce in seguito a una fortunata residenza artistica organizzata da Holydays Festival nel 2020 che propose a tre musicisti che non avevano mai collaborato prima di vivere una settimana a Scopoli e lavorare a una produzione. Così ci siamo ritrovati in tre a condividere musica e linguaggi diversi, supportati da un gruppo di persone eccezionali, raccogliendo poi il lavoro nella pubblicazione AWeekfromMonday di Rous Records e ViaIndustriae, uscito nel 2021.
“Nonostante i tanti impegni di ognuno di noi e la distanza che ci separa, dopo l’uscita del disco abbiamo cercato di trovare dei modi per mantenere attivo il progetto, quindi, quando Francesco Piro ci ha contattati a inizio 2022 per registrare un nuovo disco nel suo studio, abbiamo colto al volo l’occasione e da lì è uscito fuori Nightcap.
“Tornado alla domanda, per sintetizzare la nascita e le intenzioni del progetto, direi che è un mix di voglia di esplorare nuovi linguaggi e di persone fantastiche che ci hanno permesso di farlo.”
Oltre ai generi citati, il concept sonoro di Nightcap vuole essere una riproposta legata al fenomeno post-internet, contaminandosi ma discostandosi più ideologicamente da un’estetica passata. Un aspetto che induce a questa intuizione è l’artwork solare, dall’impostazione edonista, ad opera di Matteo Bellomo; una critica del tempo contemporaneo in uno stile provocatorio, quasi rembrandtesco. Come si unisce tale elemento moderno (in senso lato) nella vostra poetica?
“L’idea che unisce le tracce del disco e si esprime visivamente tramite il lavoro fotografico di Bellomo è legata al concetto di Airspace design, un’estetica uniforme che caratterizza molti spazi interni contemporanei, come caffetterie, bar, uffici di startup e alloggi Airbnb, cioè quel cul-de-sac estetico globale che offre ambienti accoglienti e funzionali ma perde autenticità e diversità.
“Volevamo giocare proponendo la nostra musica come una sorta di (un)easy listening music che sostituisse le cover bossanova dei Clash che potresti sentire in un cocktail bar a Milano come in un cafè di Kuala Lumpur.
“I titoli dei brani, come quello dell’album, gravitano attorno al vocabolario della mixology, un’arte che costruisce artefatti sofisticati e dall’inaspettata bellezza.”
Jumping Jiggers ha una tensione esplicata da caoticità scampanellanti, in cui nettamente il tutto è delineato da suoni rotondi che ripercorrono stili diversi, in uno zibaldone sonoro delineato da una dinamicità che converge ostinatamente in un inarrivabile e astratto punto focale. Parlateci di questo schema caratterizzato dall’idea di unidirezionalità.
“I brani del disco sono il risultato di un lavoro che si è svolto in diverse fasi. Il primo passo è stata la raccolta di materiali sonori frutto di improvvisazioni più o meno libere, ispirate da idee e ascolti di ognuno di noi, dalla strumentazione, o scaturite da flussi liberi. Tali materiali sono stati poi selezionati, modificati. sovrapposti e strutturati per creare qualcosa di nuovo, dotato di una coerenza interna diversa e più forte delle tracce di partenza (tra l’altro in alcuni casi tale lavoro è stato fatto a settimane di distanza). Spiegare questo approccio, che solo a posteriori ci rendiamo conto sia volto a cercare una complessità organizzata, può forse aiutare a capire come ogni brano appaia chiaro, appunto unidirezionale, ma al contempo mutevole, stratificato, a volte anche disorientante.
“JJ è un brano con una struttura fragilissima, il ritmo pulsante che tiene in equilibrio il brano viene da un sample granulato tramite Borderlands, chi è pratico di sintesi granulare capirá quanto siano imprevedibili i suoni che escono fuori.”

{scope}, dall’alto verso il basso: Matteo Pennesi, Luca Sguera e Laura Agnusdei.
No Flips in My Gin Fizz la struttura rimanda metaforicamente ad una sostanza liquida effervescente, infatti, sebbene sia tutto costantemente in divenire sotto il vincolo di una forza centripeta, elementi eterogenei si sviluppano ma più su diversi piani paralleli in maniera monadica. Colori prendono vita secondo linee caotiche e astrattiste in cui olisticamente si può osservare uno schema più organico. Parlateci di questa struttura gestaltiana in cui il tutto è maggiore della somma delle sue parti.
“Questo brano ha una cosa che molti altri brani non hanno: la cassa dritta! La costruzione del brano è stata fatta stratificando più registrazioni e overdub, andando a lavorare sulla saturazione della pulsazione ritmica. È anche una delle tracce che ci permette di fare più rumore e liberare le distorsioni durante i live, per questo motivo ne siamo particolarmente affezionati. La nostra musica è ricca di dettagli e stratificazioni, per questo ci piace definirla come multitimbrica, i suoni si muovono liberi e sono spesso tenuti insieme da un equilibrio molto sottile, questo aspetto è sicuramente dettato dal fatto che le tracce nascono da momenti di improvvisazione libera, ma non solo. Probabilmente siamo accomunati in qualche modo da una passione per una musica che straborda e pulsa nel continuo cambiamento.”
Coffee Break, caratterizzata da un’atmosfera più chill, è permeata timbricamente da suoni ellittici che vogliono conferire un tocco più urbano in contrapposizione alla ieraticità euclidea e passatista del sax e del synth dal timbro più analogico. La successiva Agar Agar segue questo schema secondo strutture più familiari ma distorte da idee escheriane, contaminandosi ancora una volta da urbanità di ispirazione internet 2.0. Come avviene questa ellitticità elettronica nel vostro suono?
“La componente timbrica è molto presente nei nostri dischi, ma anche nella nostra ricerca personale, pensiamo che chiunque si occupi di musica sperimentale abbia una sensibilità per il timbro sonoro.
“Ci capita spesso di interpretare i suoni che usiamo con delle forme e materiali, ad esempio nei preset salvati nei synth puoi trovare: “digigommo” o “aqualead”, immagino che ognuno usi nomi simili o analoghi a questi. Molti suoni vengono da synth digitali, come ad esempio Animoog (un’altra app di iPad, speriamo di nominarle tutte entro la fine dell’intervista). Si tratta di un synth anisotropico digitale, dove il timbro è caratterizzato da un punto in un piano cartesiano in tre dimensioni e cambia in base alla sua posizione.
“Nightcap è un disco più acustico rispetto al precedente AWeekFromMonday, grazie alla presenza del piano che è stato registrato magistralmente da Francesco Piro. Anche sul lato percussivo l’uso che Luca fa del timpano e del piatto è stato davvero esaltato dalle tecniche di microfonazione, inserendo tanti dettagli più materici che ben dialogano con l’elettronica.”
Snoopo, dall’impostazione scampanellante che ricorda i primi Battles di Tyondai Braxton, è una danza tribale che irradia l’ascoltatore di giochi psichedelici sia nella forma che nel colore, rimandando a policromatismi kandinskijani in divenire. Parlateci del brano e di come avviene questo aspetto dinamico che sembra avere la funzione di gioco.
“Snoopo è stata registrata quando stavamo già smontando lo studio, avevamo fatto una sessione diversa dalle altre e senza troppe aspettative visto che avevamo già accumulato del materiale dalle sessioni precedenti. Si chiama così perché il giro di piano ricorda un po’ le canzoni di Peanuts. È un brano diverso dagli altri, sicuramente più arrangiato e meno free.
“A volte diciamo che il nuovo disco deve ripartire da Snoopo, non per la scelta di suoni o strumenti (il kazoo sarà sempre presente nei nostri dischi), ma per via della struttura più solida che lo differenzia dagli altri brani.”
11th Alambicco è post-jazz rarefatto, in cui ostinato e granulare appare un pattern ritmico che rende la traccia qualcosa di indefinito e inafferrabile, permeato dalle linee calde ed eteree del sax, e che si conclude in un finale aperto, proprio come la conclusione dell’album con il gioco Gently Swimming in Your Natumo. Parlateci di come avviene quest’idea di conclusione su più scale.
“Come dicevamo all’inizio, tutto il materiale di Nightcap è stato registrato durante un breve periodo in studio da Piro. Qualche traccia è stata arrangiata e totalmente plasmata mentre altre sono rimaste più fedeli alla versione originale, sia per scelta estetica che per necessità tecnica (non potevamo fare altrimenti).
“Per quanto ci riguarda, le due tracce suonano come un album che lentamente si sta sgretolando, troppo rarefatte per essere delle tracce centrali dell’album ma con una bellezza fragile e malinconica adatta per arrivare gradualmente alla fine di un disco.”