Alessio Sangregorio, quando l’hip hop incontra l’hardcore e il math rock
di Giovanni Panetta
Intervista all'artista tarantino Alessio Sangregorio sulla arte visiva e i suoi progetti musicali tra hip hop, ambient, tape loop, screamo, math rock, etc...
Alessio Sangregorio

Alessio Sangregorio. Foto di Francesco Sangregorio.

Il valore dell’arte spesso risiede nel comunicare il proprio vissuto, le proprie origini attraverso un linguaggio quanto più internazionale e intelligente. Alessio Sangregorio, artista grafico, producer e batterista tarantino ha saputo comunicare forme multicolori e plastiche all’insegna di una poetica lirica e mediterranea, utilizzando in un primo momento ritmi math rock per poi convergere verso pattern dilatati elettronicamente grazie al suo amore per la black music più sghemba. Ma Alessio sa anche realizzare collage dalle forme più familiari, richiamando un immaginario più naïf tipici di Bosch o del pittore francese di fine ‘800 Henri Rousseau, in cui opera un dialogo con la cultura pop brillante e stimolante nella fruizione nel suo barocchismo.

Sangregorio comunque è anche writer dal tratto più slabbrato e psichedelico, dimostrando di saper essere multiforme non solo nella musica (in cui senza difficoltà passa dal math rock degli Occhio Trio allo screamo degli HAPRILE o degli ABITAT, oppure il rock psichedelico più sghembo dei Neuma, o ancora l’ambient dilatata di AS, o il beatmaking di Black Persiano (questi ultimi due progetti solisti), e il tutto sintetizzato in G Tamburo, oltre al nuovo progetto Bones’n’slums) ma anche nel tratto visivo.

Il prossimo 17 Marzo (2023) si terrà un concerto degli ABITAT (duo con Fabio Savino, già in IONIO e Neuma) all’Arci Calypso di Sava (TA) insieme ai Per Asperax (da Taranto). Gli ABITAT attraverso sonorità melodiche ed abrasive offrono un offerta più elastica e meno angolosa dei precedenti progetti dei due musicisti/autori (HAPRILE e IONIO). Un occasione di ascoltare un A. Sangregorio più energico e più diversificato, almeno nell’ultimo periodo (per il duo c’è stato un necessario allontanamento dai palchi di circa 4-5 anni).

Nel seguito Alessio si racconta, guidato dalle nostre domande, sulla sua multi-sfaccettata offerta da più punti di vista.

Parliamo del passato. Whereiswave, l’etichetta fondata da te, Antonio Greco (TF+) e Gaspare Sammartano, e attiva intorno il 2018, si fa portatrice di un suono ambient, hip hop, e di musica elettronica più generalmente, attraverso tre uscite: Organic, Synthetic, Ensemble Material di TF+, il tuo esordio Untitled (a nome di AS) e un disco omonimo di HS-1 (un duo formato da Greco e Sammartano). Parlaci di come è nata l’etichetta e con quali intenzioni. Inoltre il tuo esordio si colloca all’interno di sperimentazione più urbana e atonale rispetto i lavori successivi; parlaci di questo passaggio.

“L’anno di nascita di whereiswave è stato il 2018. In quel periodo o giù di lì vennero le due pubblicazioni, semi-contemporanee di poche settimane, con la prima uscita di TF+, ovvero Antonio Greco, che presentava il suo lavoro Organic Synthetic, poi subito dopo c’è stato il mio Untitled, che è stato il mio primo lavoro, che direi più legato all’elettroacustica come suono, perché in realtà come suono era abbastanza scarno, privo di effetti e quant’altro. Nel corso del tempo ho imparato a processare meglio il suono, quindi fondamentalmente era tutto solo nastri, [attraverso cui] è partito questo progetto da questo sgombero di una casa, di un parente di un mio amico che mi lasciò questo tot di cassette, e io da lì presi un po’ queste vecchie tape e iniziai un attimino a darci un ascolto. Il più delle cose era materiale un po’ comune, c’era musica italiana il genere era Italian Graffiti… quindi in quel periodo stavo iniziando a smanettare con tape loop, con il taglio dei nastri per creare dei loop da queste cassette. Questa cosa era nata poi da Gaspare, che mi ha aperto un mondo per quanto riguarda le cassette e i tape loop; diciamo che mi sono affacciato anche per merito suo. Tutto questo materiale andò a formare Untitled. E poi HS-1, che era un lavoro in duo con Gaspare e Antonio. Dopodiché con whereiswave ci sono stati tanti piccoli showcase, tra cui uno che è stato fatto con gli altri ragazzi [che ora organizzano la rassegna] Salotto Elettronico, quindi Alex Palmieri e Loris Ligonzo all’evento Innesta insieme a Fabio Orsi e Donato Epiro. Poi ci fu lo showcase allo Spazio 202 [a Taranto Vecchia] e alle Manifatture Knos [a Lecce] insieme a TF+. Successivamente abbiamo intrapreso percorsi e album differenti. Io sono stato fermo dall’uscita del 2018 fino a Panorama che si può definire un penultimo album dopo [il lavoro con G Tamburo]. [Tra Untitled e Panorama – l’ultimo lavoro – ] avevo fatto composizioni e full-album di 20-25 minuti mai usciti.”

Il 29 Febbraio 2020, alle porte della pandemia da SARS-CoV-2 in tutto il mondo, ti sei esibito in Cataclisma, live-set ambient/noise che vuole far riflettere sulla condizione ambientale in tutto il globo terrestre, in cui ammiccamenti alla situazione che concerne il virus COVID-19 non mancano. Il tema ecologico influisce sul sound della performance, attraverso suoni liquidi o naturalistici distorti e dilatati. Il tutto arricchito da una scenografia con un tuo collage, ovvero un teschio ed elementi della natura che vengono assemblati in maniera simile ad un neonato, allegoria di quei momenti, e che tutt’oggi continuano ad incombere. In Cataclisma, insieme tra l’altro al live al MUDIT di questo 2023, appare una versione della tua arte più dilatata e amelodica, in forma naturalistica, ma con inflessioni patinate e slabbrate. Come avviene in te il tema della natura e come ti senti legato ad esso.

“Cataclisma doveva essere un lavoro che avrei dovuto far uscire e che doveva prendere il posto di Panorama, e non doveva chiamarsi Cataclisma, che in realtà era il nome dell’istallazione di questo collage tre metri per due che presentai al laboratorio Ammostro. Portai questo lavoro anche alle manifatture Knos, in cui mi esibii insieme ad un artista greco Kostis Kilymis un artista , per la rassegna di Altra, curata da Mauro Di Ciocia (Torba). Dovevo pubblicare anche questo lavoro, ma alla fine feci uscire Panorama già dopo due anni/due anni e mezzo.

“Tutto è nato da questo collage, tre metri per altezza e due metri e mezzo per larghezza. In realtà [il topic] non c’entrava con la pandemia che doveva ancora arrivare anche se c’era il sentore che qualcosa non andava. […] Io ero molto legato a tematiche naturalistiche, al limite con la fantasia, più estrema nel combinare animali che non esistono, forme umane, vegetali o organiche che si uniscono tra di loro. Feci questo lavoro [come rappresentazione del] fallimento della società nei confronti dell’ambiente esterno, naturale. In quel caso rappresentai una serie di mali smostrati fra di loro che non sono altro che i rimasugli di lavori simili di altri artisti durante il corso degli anni, come il Bestiario. Sono stato sempre affascinato da questo panorama che è stato circuito da immagini quasi grottesche… anche se ultimamente cerco di rendere tutto più colorato a livello di ambientazioni. Suonai questo lavoro [di 50 minuti che] non aveva un titolo, ne aveva svariati ma furono tutti scartati. Mentre l’installazione aveva come nome Cataclisma.”

Cataclisma

Istallazione di Cataclisma con sonorizzazione del 29/02/2020. Foto di Francesco Sangregorio.

Sei anche batterista e militi o hai militato nei gruppi screamo o stoner ABITAT, Neuma e HAPRILE, esordendo prima ancora nella meteora math-jazz della scena ionica Occhio Trio. Il tuo drumming è sicuramente energico e dinamico, quasi progressivo, che si lascia sfuggire beat periodici e aritmici, trovando un’analogia con la tentacolarità dei bordoni nei tuoi solo hip-hop o ambient. Ti chiedo quali sono i riferimenti e se c’è qualche leitmotiv in entrambi i tuoi ruoli di batterista e musicista elettronico.

“La batteria è l’unico strumento che so suonare e che mi ha fatto affacciare a tutto il resto, se vuoi in maniera larga che però ha un nesso con quello che faccio, sia per il beatmaking che per l’elettronica da sperimentazione. C’è sempre stato un utilizzo della batteria a livello strumentale e anche mentale… anche nei nastri ragiono sempre con quella cosa lì di creare delle ritmiche. Mi ci rivedo [nella descrizione] anche se Black Persiano è uscito molto dopo… Il primo gruppo in cui ho suonato sono stati gli Occhio Trio, e lì ho esercitato quel modo d suonare che mi porto dietro, nonostante nel tempo ho eseguito anche altri generi, in quanto ero in fissa con il free jazz e il math rock, quindi questa scomposizione di ritmi in levare, spigolosi, al limite anche con l’improvvisazione mi ha sempre molto affascinato.”

Sei anche artista grafico, e più recentemente ti sei esibito – anche dal vivo con un set – al MUDIT di Taranto nella mostra “Madre Proteggi” Gennaio-Febbraio 2023. La tua arte è caratterizzata da collage naturastici di un espressionismo affine alla poetica di Hyeronimus Bosch. Ma sei anche esperto di street art o più generalmente fai anche disegni con la vernice, il tutto in maniera quanto più policromata e caleidoscopica, ma con una forma terrea. Parlaci delle tue ispirazioni, e come il contesto locale o la musica diventa una possibile influenza.

“Io nasco fondamentalmente come writer, quindi all’interno di un percorso di graffiti. Ho inziato ad ispirarmi dalla scena di fine anni ‘90 a Taranto, io ero molto piccolino ed ero anche incuriosito da queste scritte e disegni [per strada], e in quel fenomeno c’era un grosso fermento della cultura black ed hip-hop. In realtà ci sono degli artisti che mi hanno sempre ispirato, alcuni che non dipingono più, che sono molto grandi, e altri molto attivi che mi hanno insegnato e che mi hanno aperto la strada come lo stesso Nocci, che è un writer tarantino che dipinge da fine/metà anni ‘90. Per il resto mi sono sempre ispirato come graffiti da tutto quello che studiavo alle superiori, dalle illustrazioni, o dai fumetti, e io cercavo di mischiare tutte queste cose. Ho cominciato con il lettering (il classico graffito con il proprio nome), e poi da lì ho cercato di sviluppare quello che facevo nel corso degli anni, e poi da più grandicello ho cominciato a sviluppare sempre di più l’uso dell’illustrazione e del disegno, per poi arrivare ad aver lasciato un certo tipo di percorso per un altro. Comunque il mio legame con i graffiti non è più attivo già da tempo a livello di militanza o attività fisica e concreta, però a livello di evoluzione e di conoscenze di altri percorsi, che mi hanno poi portato a sviluppare altri lavori e di materiali devo quasi tutto al mio percorso precedente. Poi da lì si è aperto tutto un mondo, quindi si è aperto l’interesse per l’hip hop, del beatmaking, e via di seguito. C’è stato poi un contrasto, un periodo particolare, in cui mi trovavo a suonare in gruppi e frequentare contesti hardcore, con la batteria, e a trovarmi di pari passo in quella che era l’attività legata ai graffiti e musicale con l’hip hop. C’è da dire che queste due cose mi hanno dato la possibilità di studiare e capire come possono intrecciarsi le due cose da un punto di vista storico-culturale.”

Alessio Sangregorio

Stampa di un collage e graffito (dietro), entrambi ad opera di Alessio Sangregorio.

Una certa influenza dell’amico e artista tarantino Sammartano sembra essere evidente. In Panorama viene evocato un suono “soul ambient”, per via dell’utilizzo di armonie soul in forma dilatata e strutturata a bordone, associata a rumori dell’acqua e sprazzi di beat hip hop. In Waterfront di Gaspare Sammartano, come in Panorama, viene reso astratto un suono urbano o dancefloor; ma mentre il primo lavoro appena citato appare più omogeneo, Panorama è un flusso di coscienza in cui il vissuto tarantino genera sensazioni in maniera più empatica e, per un osservatore esterno, aleatoria. Parlaci dell’influenza di Gaspare e di quanto c’è di strutturato in questo magma di sensazioni.

“Gaspare lo stimo, è un amico e come persona umana lo rispetto un sacco. Mi ha aperto parecchio, mi ha fatto innamorare dei tape loop, dei nastri. E comunque, sì, mi ha sempre stimolato il suo materiale. Panorama in teoria è un lavoro dove ci ho voluto mettere un po’ di suoni un po’ più ambient rispetto ad altri lavori che ho fatto precedentemente e che non ho mai fatto uscire, dove c’era di più la presenza di ambient [insieme a] hip hop, rumorismo, etc… Panorama l’ho definito come un lavoro dove c’erano dei nastri, [in cui] molto materiale audio sono cassette di opere o di musica classica, [che vengono] dilatate come a creare dei tappeti ambient… però è un lavoro che è durato un paio d’anni e, come G Tamburo, è una collezione di vari sample.”

In questo tuo approccio, definiresti Panorama come un effettivo flusso di coscienza?

“In realtà non saprei risponderti. Io lo definirei un lavoro un po’ più intimo. Anche se su cosa può rappresentare… sinceramente non lo so. In quel periodo avevo voglia di raccontare alcuni frame come se fossero dei ricordi, come se fossero delle piccole cartoline, dei piccoli scorci di un panorama, un po’ su cose che ho vissuto, quindi ci sono ritagli audio presi da registrazioni, field recording… del materiale vecchio risalente alla prima uscita (come AS). L’ho trattato come lavoro un po’ più intimo ma meno dal punto di vista della ricerca di un significato… Il processo creativo era quasi spontaneo. La copertina stessa è una roba a me intima, infatti questi due lavori sono molto intimi per me, perché [sulla cover di Panorama viene mostrata] la mia casa al mare in cui ho registrato e composto quel lavoro, ed infatti quella per me è stata un’ottima scelta… e G Tamburo la stessa cosa.”

Parlaci di Black Persiano e di come nasce quest’esigenza di esplorare queste sonorità legate, in parte o meno, a Ras G e Flying Lotus.

Ras G assolutamente. [Sono] ispiratissimo a lui e a tutta la scena newyorkese della label Dirty Tapes, che sono un collettivo di ragazzi, come General Dirt, Delofi… sono loro due i capi di quest’etichetta, e da lì in poi ho fatto tutta una serie di scoperte. Ras G in teoria lo stimo un sacco perché dentro ci sono un sacco di suoni cosmici, l’uso del sampling quasi futurista nel modo di comporre i beat, mentre l’etichetta Dirty Tapes sa molto di mixtape registrata su nastro, quindi con i beat classici ma più marci e più sporchi. Ras G era un punto di riferimento su delle idee in particolare, soprattutto nel poter costruire dei beat dove ci potevi mettere un po’ più di materiale a cui sono legato, come batterie registrate da me, suoni ambient che puoi snaturalizzare e creare dei paesaggi sonori con l’utilizzo di campionatori che ti possono permettere di fare quel tipo di lavoro. Però sì, Black Persiano non è nient’altro un moniker per fare questo progetto di beatmaking più low fidelity.”

Osservando estemporaneamente la black music, mi verrebbe di suddividerla in due macro-categorie: Sun Ra e tutto il resto. Infatti, parlando della componente ritmica, il beat del musicista originario di Birmingham assume una forma magmatica e celestiale, progressiva ma in una forma lunatica e naïf. La musica soul, da cui deriva l’hip hop, rappresentato in parte da Art Blakey, James Brown, etc…, associa il ritmo ai movimenti del corpo, attraverso una fruizione più empatica. Autori come Ras G legano queste caratteristiche (si potrebbe associare Sun Ra ad una componente più ambient o espressionistica) in qualcosa di strutturato a flusso di coscienza, narrando la musica attraverso un viaggio più contemporaneo. Tra questi, quali sono gli aspetti a cui si lega maggiormente Black Persiano, e quali sono i riferimenti più contemplati?

“Ras G è molto influenzato da Sun Ra. Entrambi sono i manipolatori di due generi (rispettivamente l’hip hop e il jazz), creando [rispettivamente] un nuovo genere. Infatti nei primi 2000, quando uscì tutta questa cultura dei beatmakers a Los Angeles, come Flying Lotus, Ras G, Debiasi e altra gente, era tutto uno stravolgere tutto quello che si faceva già con l’utilizzo dell’hip hop. Secondo me il riferimento con Sun Ra è giusto, è perfetto, perché lui ha fatto la stessa cosa nell’hip hop.”

 

G Tamburo, il tuo solo che ha esordito nella serata di Salotto Elettronico del 19 Febbraio 2023, e che comprende l’uso di nastri, synth e batteria, comprende anche sia la parte più hip hop/ambient (eterodosso) simile a Black Persiano, che quella rumorista legata in parte col passato (si potrebbero citare ancora una volta gli Occhio Trio in merito). Come nascono suoni e intenzioni?

“Alcuni [dei sample di batteria sono] miei e altri di vecchie cassette che avevo trovato di lezioni di batteria. Quindi un mix di tanta roba ci sono voluto infilare a questa cosa. G Tamburo in realtà è nato prima di aver creato il moniker di Black Persiano, quindi avevo chiuso un lavoro, quello di G Tamburo dove in mezzo c’era quasi tutto, e un po’ riprende il primo lavoro che ho fatto come AS Untitled, dove c’è un finale in cui si percepisce il rapporto con l’hip hop, il beatmaking. La stessa cosa, in G Tamburo ci sono parecchie parti così come anche parti ambient, field recording, rumorismo e quant’altro…”

Anche math rock?

“Se vogliamo chiamarlo così su alcune parti, sì, anche. Io ho voluto fare un collage di tutto quello che ho prodotto.”

Per concludere, parlaci delle prossime novità a livello di concerti, progetti e nuove uscite.

“Come illustratore sto portando in giro la mostra di Madre Proteggi, con sei tavole di grande formato tra i cinquanta e i cento. Farò una sonorizzazione sempre a nome di Sangregorio, un impro insieme a Simone Lo Martire di Sava che si esibirà in una performance pittorica. Come lavori da chiudere, sto facendo girare, insieme alla mostra, anche G Tamburo. Di Black Persiano sto facendo uscire un nuovo lavoro, che è sempre una collezione di loop e di beat, che sicuramente farò uscire in primavera inoltrata.”

Instagram Alessio Sangregorio.

Instagram Black Persiano.

Instagram Bones’n’slums

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